I tumori neuroendocrini, detti NET, sono rari ma presentano un aumento di casi e sono diventati sempre più noti. Le tecniche di diagnosi e di cura sono in continua evoluzione e di interesse per diversi specialisti e per i medici di famiglia.
Ne parliamo con il professor Giovanni Dapri, direttore della Chirurgia generale Mininvasiva e Oncologica di Humanitas Gavazzeni.
Professor Dapri, che cosa sono le neoplasie neuroendocrine?
“Sono tumori che originano da aggregati di cellule endocrine in grado di colpire diversi organi: intestino, pancreas, polmone, stomaco e surrene. Si stima che in Italia vi siano 4-5 nuovi casi all’anno ogni 100.000 persone per circa 2700 nuove diagnosi annuali. Ne fanno parte i tumori neuroendocrini pancreatici e gastro-enterici, oppure le neoplasie endocrine multiple ereditarie (MEN)”.
Qual è la caratteristica di questi particolari tumori?
“Si tratta di neoplasie biologicamente molto diverse tra loro nella presentazione, differenziazione e prognosi. Si distinguono principalmente due gruppi: tumori non funzionanti e tumori funzionanti. Per il primo caso la diagnosi è del tutto casuale e spesso risulta da esami endoscopici o radiologici. Per i secondi vi è un’eccessiva produzione di ormoni che, a seconda dell’organo interessato, darà sintomi come diarrea e arrossamenti del volto, ipoglicemia, bruciore allo stomaco e vomito”.
Qual è l’evoluzione?
“La maggior parte presentano una crescita lenta perché non sono aggressivi. Altri invece sono maligni e possono anche metastatizzare. Le metastasi possono presentarsi in organi diversi come fegato e polmoni. Comunque l’aspettativa di vita è lunga perché la prognosi è buona”.
Cosa si conosce in termini di terapie?
“Ad oggi, grazie a nuove ricerche, sono aumentate le possibilità di trattamento in ospedale. Parliamo di chirurgia negli stadi precoci, ossia nelle forme localizzate e in casi selezionati di tumori metastatici. Poi vi è la terapia radiorecettoriale per irradiare in maniera selettiva le cellule tumorali con farmaci radiomarcati. Naturalmente ci sono la chemioterapia per i casi avanzati, oppure le terapie loco-regionali che, con metodi mini-invasivi di radiologia interventistica, permettono di raggiungere organi bersaglio e di trattare anche le metastasi”.
È importante avere un approccio multidisciplinare?
“Sì, per avere le migliori competenze della ricerca, della diagnostica e della terapia relative a queste patologie. È un argomento ricco di novità in diversi settori e costantemente in evoluzione che deve coinvolgere un’ampia platea di professionisti, dagli oncologi agli endoscopisti ai radiologi interventisti, dai medici nucleari ai chirurghi e a tutti gli specialisti che si occupano di questo argomento”.
Qual è, in particolare, il ruolo del chirurgo nella cura?
“Il chirurgo rappresenta una delle possibili scelte terapeutiche perché la chirurgia è spesso la prima opzione nella maggior parte delle forme localizzate e in qualche caso di quelle metastatiche”.
In cosa consiste il trattamento laparoscopico per questa patologia?
“La laparoscopia è la chirurgia dalle piccole incisioni: il paziente beneficia di un minimo trauma addominale, con riduzione del dolore post-operatorio, con minore rischio di complicanze quali le infezioni. Poi per questi tumori si eseguono solo 3 piccole incisioni che vanno da 5 mm a 1 cm e che permettono di asportare il tumore e soprattutto di esplorare tutto l’addome e evidenziare in maniera magnificata dalla telecamera gli eventuali linfonodi”.
Si tratta di una tipologia adatta a tutti i tipi di tumori neuroendocrini?
“Sì e permette di asportare qualsiasi forma di tumore senza aprire l’addome, offrendo al paziente tutti i vantaggi della mini-invasiva”.
Chi non può mancare nell’équipe?
“Le figure dedicate alla diagnosi e agli approcci terapeutici come il patologo, il radiologo, l’oncologo e il medico nucleare”.
Testo tratto dall’articolo pubblicato dalla testata “Eco di Bergamo” dal titolo “Tumori rari, ma in aumento. ‘Mininvasiva’ per curare i net” del 1 maggio 2022