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Il microbiota, tutto quello che si deve sapere per mantenerlo “sano”

Che cosa si intende quando si parla di microbiota? Ci si riferisce a una popolazione di microbi che convive con i nostri organi e tessuti senza danneggiarli, lavorando anzi per proteggerci da numerose malattie e aiutarci a mantenere una buona qualità di vita. In particolare, nel nostro intestino i batteri che appartengono a questa “famiglia” sono un numero vicino ai 10mila miliardi, batteri che svolgono un’incessante attività, volta a permetterci di digerire i cibi che ingeriamo.

«Il microbiota è un vero è proprio organo – sottolinea il dottor Nicola Gaffuri, responsabile di Gastroenterologia ed endoscopia digestiva di Humanitas Gavazzeni di Bergamo – composto da tutta una serie di batteri, macrofagi, funghi, protozoi, virus, parassiti che vivono in genere in simbiosi con il corpo umano e che svolgono un ruolo fondamentale in particolare nel nostro intestino, dove è concentrato circa il 70% del microbiota, per quella che una volta era definita “flora batterica” e che oggi non chiamiamo più così perché abbiamo appurato che non si tratta solo di batteri, ma di un esteso mondo di “animaletti” che sono quasi più numerosi delle cellule che abbiamo nel nostro corpo».

Quali azioni svolge il microbiota all’interno dell’intestino?

«Si stanno facendo molti studi sul microbiota, perché si è capito che quando questo è sano ci permette di vivere decisamente meglio, perché difende il nostro intestino dagli agenti esterni, per esempio le tossine, che noi mangiamo o respiriamo. Certo, perché questo avvenga, è importante, appunto, mantenere sano il microbiota, cosa che dobbiamo cercare di fare soprattutto attraverso l’alimentazione. Perché quando invece diventa “cattivo”, il microbiota contribuisce ad alterare la permeabilità e l’assorbimento intestinale, complicando le nostre attività digestive e provocando indirettamente una diminuzione delle difese immunitarie del nostro corpo».

Quali sono gli alimenti che ci aiutano a tenere il microbiota in salute? E Quali invece quelli che è meglio evitare?

«Siamo in Italia e da questo punto di vista siamo piuttosto fortunati. Perché il regime alimentare ideale, quello che più di ogni altro aiuta a mantenere sano il microbiota, è la dieta mediterranea. Largo quindi in primo luogo alle fibre, poi ai latticini – per chi non è intollerante al lattosio –, alle carni bianche e soprattutto ai carboidrati in giusta quantità magari anche integrali. Da evitare, o comunque da consumare con la giusta attenzione, sono invece i cibi troppo elaborati, troppo ricchi di conservanti, come quelli che spesso giungono da molto lontano e non si sa bene quali controlli abbiano ricevuto o come sono stati preparati. Da questo punto di vista, quando si avvertono primi accenni di problematiche a livello digestivo è importante seguire le indicazioni di un nutrizionista, in grado di bilanciare con il suo intervento calorie, carboidrati, proteine, vitamine, fibre in maniera ideale nell’arco della giornata e della settimana così da non provocare – o mantenere, se già si è presentata – l’alterazione del microbiota».

Quali sono i sintomi di un microbiota non in salute?

«Il sintomo più comune tra quelli che si possono manifestare in seguito a un’alterazione del microbiota è il gonfiore addominale, dovuto alla fermentazione del cibo provocato dai batteri cattivi che si sono venuti formando a seguito dell’alterazione stessa. In questo caso, per porre rimedio, bisogna ricorrere a un impianto di batteri buoni, i cosiddetti probiotici, procedendo però, prima, a una disinfezione dell’intestino. Poi è importante adottare una dieta bilanciata così da mantenere il buon lavoro fatto».

Quali conseguenze può avere un microbiota alterato non curato a dovere?

«Può portare a una colite, a un’alterata permeabilità con infiammazione della mucosa dell’intestino che altera ancor più l’assorbimento per cui poi le scariche diventano diarroiche oppure si può presentare stitichezza, sintomo tipico della sindrome dell’intestino irritabile. A quel punto diventa fondamentale sottoporsi a esami, soprattutto a livello delle feci, per verificare se vi sia o meno una trasformazione “cattiva” del microbiota e, se necessario, agire con terapie dirette, indicate dallo specialista gastroenterologo, per migliorare questo tipo di situazione».

Specialista in Chirurgia dell'Apparato Digerente e in Endoscopia digestiva

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