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Reflusso gastroesofageo, quando diventa insistente è il momento di sottoporsi a una gastroscopia

Il reflusso gastroesofageo è un disturbo dovuto al fatto che il contenuto gastrico risale nell’esofago e interessa quasi una persona su cinque. È da considerarsi, in una buona parte dei casi, un evento digestivo fisiologico che non desta particolari preoccupazioni. Ci sono però condizioni di reflusso in cui si entra nel concetto di patologia, cosa che avviene quando i sintomi diventano frequenti o particolarmente gravosi. Ne parliamo con il dottor Leonardo Da Rio, specialista dell’Unità Operativa di Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva di Humanitas Gavazzeni di Bergamo.

Quali sono i sintomi del reflusso gastroesofageo e quando questi possono essere considerati preoccupanti?

«I sintomi tipici dovuti al reflusso sono soprattutto due: il rigurgito acido e la pirosi retrosternale, cioè un caratteristico bruciore che si avverte nell’area posta dietro lo sterno. A questi due sintomi se ne possono affiancare altri che vengono definiti “atipici”, come una tosse secca, l’asma, un senso di fastidio a livello della gola e il dolore toracico. Si deve prestare loro particolare attenzione quando per frequenza, durata e intensità iniziano ad avere influssi negativi sulla qualità di vita».

Da che cosa dipende il reflusso?

«Alla base del reflusso gastroesofageo c’è la ridotta tenuta della valvola che è posta tra l’esofago e lo stomaco, il cardias, che dovrebbe impedire che il materiale gastrico refluisca, cioè invece di procedere in avanti, “torni indietro”. Questa diminuita tenuta dipende da varie cause che possono essere di natura anatomica e costituzionale – compreso il sovrappeso –, alimentare, ormonale o farmacologica. Tra le cause può esserci anche un ritardato svuotamento gastrico, per cui il cibo tende a ristagnare nello stomaco, condizione che a sua volta può predisporre al reflusso».

Ci sono alimenti che possono influire più di altri sulla formazione di reflusso?

«Sì, prima di tutto gli alimenti che provocano un’iperproduzione di acido nello stomaco: pomodori, peperoni, cibi piccanti, speziati e alcuni tipi di frutta, in particolare gli agrumi. Poi ci sono quelli che favoriscono il rilassamento del cardias: cioccolato, caffè, cibi grassi, alcolici, bevande gassate. Se si uniscono i due effetti – iperproduzione acida e rilassamento del cardias – si ha maggior possibilità che si sviluppi reflusso. La risposta agli alimenti consumati è comunque soggettiva, alcune persone tollerano bene cibi che per altre sono, invece, origine di reflusso».

Come ci si deve comportare quando compaiono i primi segnali di reflusso?

«Se la sintomatologia è modesta può bastare consumare pasti piccoli e frequenti, oltre che prestare attenzione agli alimenti consumati e agli eccessi alimentari così da limitare il sovrappeso. Importante è anche evitare di coricarsi quando si è a ridosso del pasto: l’ideale è lasciare trascorrere almeno due ore prima di distendersi, non necessariamente a letto, anche solo sul divano. Se i sintomi notturni dovessero essere un po’ più fastidiodi, inoltre, può essere utile alzare la testata del letto».

E quando i sintomi aumentano, che cosa bisogna fare?

«Si può, anzitutto, ricorrere a farmaci da banco con cui proteggere, anche solo localmente, l’esofago o, nel caso in cui i sintomi dovessero permanere, sottoporsi a un approfondimento medico che preveda un’eventuale terapia con farmaci antiacidi. Nel caso in cui nemmeno questo trattamento dovesse produrre effetti, è il caso di sottoporsi a indagini più approfondite come quelle che prevedono l’esecuzione di una gastroscopia, esame che permette di verificare la presenza di eventuali danni provocati dall’esposizione dell’esofago all’acido. Altri esami che possono essere indicati a completamento della fase diagnostica, dopo valutazione specialistica, sono la pH-impedenziometria delle 24 ore, la manometria esofagea e lo studio radiografico del transito esofageo».

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