La diagnosi prenatale, oggi, offre uno spettro di possibilità diagnostiche assai più ampio rispetto a non molti anni fa; rimanendo infatti inalterato il valore dell’ecografia, da ormai 40 anni strumento cardine ed insostituibile della diagnosi prenatale, gli strumenti tecnologici e di laboratorio a disposizione delle coppie in attesa si è arricchito e sviluppato rapidamente in pochi anni.
Di fronte ad una così ampia e specializzata offerta diagnostica, per i futuri genitori sembra più difficile individuare e scegliere, in modo davvero informato e responsabile, il percorso che si vuole affrontare nelle indagini prenatali sul proprio bambino.
Vediamo insieme al Dott. Stefano Acerboni, coordinatore dell’area ostetrica dell’Unità Operativa di Ostetricia e Ginecologia, quali sono i possibili percorsi diagnostici (invasivi o non) a disposizione delle future mamme.
Malformazioni fetali, quali esami?
“La maggior parte dei bambini nasce sana, è bene ricordarlo, ma è vero anche che raramente il feto può essere affetto da anomalie genetiche o anatomiche che possono avere grandi ripercussioni sulla sua vita e su quella dei suoi familiari – spiega il Dott. Acerboni. Oggi, sono tante le coppie che desiderano conoscere lo stato di salute del feto e che chiedono informazioni precise al loro ginecologo per decidere cosa fare”.
L’esame insostituibile per lo specialista, adatto a sospettare o a diagnosticare una malformazione fetale, è l’ecografia; la cultura e l’esperienza ecografica progressivamente aumentata in questi ultimi 30 anni e i miglioramenti tecnologici delle apparecchiature a disposizione (pensiamo alla visualizzazione 3 e 4D), hanno fatto sì che la diagnostica delle malformazioni fetali conoscesse un globale miglioramento.
L’accuratezza diagnostica (“detection rate”) per ogni distretto anatomico fetale è migliorata negli anni. Così, di pari passo si registra un sostanziale miglioramento qualitativo delle consulenze post-diagnosi.
A seconda delle malformazioni e dei distretti fetali interessati, è oggi possibile anticipare la diagnosi di molte anomalie fetali anche di diverse settimane, con un incalcolabile guadagno di tempo e di sofferenza.
È possibile, infatti, sospettare o escludere alcune gravi ed importanti malformazioni già a 12-16 settimane (cerebrali, cardiache, scheletriche).
“Ancora oggi – continua il medico – l’ecografia morfologica della 20esima settimana è il momento diagnostico irrinunciabile da parte di chi segue la gravidanza.
Quali sono i fattori di rischio per anomalie fetali?
Le condizioni considerate maggiormente predisponenti al rischio di anomalie fetali sono la presenza di anomalie nelle gravidanze precedenti, difetti genetici familiari e l’aumentare dell’età materna, in particolare se superiore ai 35 anni.
Diagnosi prenatale non invasiva
I test di screening di alcune anomalie di numero dei cromosomi sono disponibili da qualche anno, non comportano nessun rischio per mamma e bambino e impiegano solo tecniche non invasive (ecografia e prelievo venoso alla mamma). Questi test non svolgono diagnosi cromosomica, ma calcolano con elevata accuratezza il rischio di patologia di numero di alcuni cromosomi specifico per quella gravidanza.
Il rischio di non ottenere un risultato o di incorrere nei “falsi positivi” o nei “falsi negativi” è sostanzialmente molto basso.
L’introduzione dei test di screening ha, di fatto, permesso in questi anni di ridurre di molto il numero di villocentesi e amniocentesi eseguite e, di conseguenza, la pericolosità delle diagnostiche invasive (circa il 1% può provocare la perdita della gravidanza) che oggi per lo più vengono riservate alle pazienti che presentano un rischio aumentato durante lo screening.
Traslucenza nucale – bitest e “DNA Fetale”
Questi due test, che si eseguono dalla 11esima settimana di gravidanza, sono stati messi a punto per calcolare il rischio individuale di essere affetto da un’anomalia di numero di alcuni cromosomi (la più nota e più frequente è quella che riguarda la coppia di cromosomi 21, trisomia 21, o Sindrome di Down); lo stesso calcolo viene eseguito per i cromosomi 13 e 18 ed è possibile anche per i cromosomi sessuali (X e Y), le cui alterazioni di numero configurano alcune sindromi caratteristiche.
Sono entrambi test di screening che esitano in un calcolo del rischio, non in una diagnosi di malattia, con elevata accuratezza (superiore al 90-95 %) e soprattutto a rischio zero (cioè non comportano alcun rischio per mamma e feto, essendo basati su esame ecografico e/o prelievo venoso alla mamma).
Si devono tenere presenti le quote di “falsi positivi” e di “falsi negativi” del test sapendo che i primi porteranno la coppia a sottoporsi alla diagnostica invasiva (villocentesi o amniocentesi) per verificare la diagnosi, mentre i secondi potrebbero portare ad una mancata diagnosi di malattia ed esitare con la nascita di un bimbo affetto.
Se dai risultati del test di screening emerge un rischio aumentato per una di queste malattie, la coppia viene convocata in tempi brevi per discutere con il medico di riferimento dell’esito ottenuto e quindi decidere come proseguire con gli eventuali step diagnostici successivi, sempre personalizzando ed “individualizzando” il caso in oggetto per ogni coppia.
Ricerca del DNA fetale e translucenza
I test di screening sono esami non invasivi e dunque privi di rischio per il feto. Permettono di calcolare il rischio per quella specifica mamma che il suo bambino sia affetto da anomalie di numero di alcune coppie di cromosomi.
Sebbene attendibili a più del 90 %, questi test non sono infallibili.
In caso di positività, anche in seguito al confronto e alla valutazione con il ginecologo, sarà la coppia a decidere se sottoporsi a ulteriori indagini, sia ancora di screening o definitivamente diagnostiche (procedure invasive come villocentesi o amniocentesi).
I principali test di screening sono la ricerca del DNA fetale nel sangue materno e la translucenza nucale.
La ricerca del DNA fetale nel sangue materno serve per valutare il rischio che il bambino sia affetto da alcune cromosomopatie di numero. La gestante viene sottoposta a semplice prelievo di sangue e l’analisi di laboratorio ricerca, nel campione di sangue prelevato, frammenti di DNA del nascituro provenienti dalla placenta.
La translucenza nucale invece si esegue nel corso di un’ecografia, misurando lo spessore dello spazio retronucale sottocutaneo del feto, e fornisce, insieme ad altri dati ecografici e demografici della mamma, un calcolo sul rischio di Sindrome di Down e altre sindromi a carico del feto.
Diagnosi prenatale invasiva
La villocentesi
La villocentesi è un esame diagnostico prenatale invasivo con un margine di rischio per il feto e il buon andamento della gravidanza calcolato in circa all’1%. È, pertanto, un esame delicato che necessita sempre di un’accurata valutazione in cui la coppia e lo specialista devono considerare il bilancio tra le necessità diagnostiche della coppia ed il rischio insito nella procedura.
Si tratta di una specie di piccola biopsia della placenta sotto guida ecografica, utilizzando un ago che viene introdotto dal ginecologo nell’addome della gestante e che rimane in addome circa 30 secondi. L’ago preleva per aspirazione i villi coriali della placenta e non attraversa lo strato delle membrane amniotiche (la placenta ne è all’esterno). Da questo materiale, opportunamente trattato e coltivato, si ottiene il cariotipo fetale, cioè l’assetto cromosomico del feto (i suoi 46 cromosomi vengono analizzati dal citogenetista e definiti normali o no, sia per quanto riguarda il loro numero, sia per quanto riguarda la loro struttura). Attraverso la villocentesi, su indicazione anamnestica familiare, si possono ricercare, se indicato, alcune malattie genetiche ereditarie, come la Fibrosi Cistica e la Distrofia Muscolare.
L’amniocentesi
L’amniocentesi si esegue tra la 15a e la 17a settimana di gravidanza. Attraverso l’introduzione di un ago nell’addome materno (sotto guida ecografica) ed attraverso la parete dell’utero e le membrane amniotiche, si accede al sacco amniotico e si preleva (circa 1-2 minuti) una quantità, irrilevante per il feto, di liquido amniotico che contiene le cellule fetali dalle quali il citogenetista, dopo trattamento colturale in varie fasi, ottiene il cariotipo, lo studio della struttura e del numero dei suoi 46 cromosomi. Come la villocentesi, anche per l’amniocentesi viene calcolato un rischio di perdita della gravidanza di circa l’1%.
“È fondamentale in questa fase – conclude il Dott. Acerboni – discutere con il proprio ginecologo dei rischi e dei benefici per valutare le diverse opzioni e prendere la migliore decisione per la mamma e il bambino”.