Ogni anno nel mondo vengono impiantati circa 1.5 milioni di device – pacemaker e defibrillatori – per la salute del cuore.
Si tratta di strumenti che oggi più che mai assicurano un perfetto funzionamento protratto nel tempo ma che possono essere soggetti a eventuali complicanze che, nel caso non si intervenga in modo tempestivo, possono portare anche a gravi conseguenze.
Soprattutto in presenza di un’infezione che colpisce il sistema di stimolazione nel suo complesso – la tasca, il dispositivo, i cateteri – diventa necessario procedere con un’operazione di estrazione del sistema e, se indicato, con il reimpianto dal lato opposto del cuore.
Ne parliamo con il dottor Giosuè Mascioli, responsabile dell’Elettrofisiologia di Humanitas Gavazzeni Bergamo.
Quante possibilità ci sono che si venga a creare un’infezione che richiede un’estrazione dei cateteri?
«Si ipotizza che un’infezione possa riguardare il 2-4% degli impianti, portando così a circa 30-60mila il numero di pazienti da sottoporre a estrazione di cateteri per motivi infettivi. A questi va aggiunto un altro 1-2% di pazienti che presenta problemi legati a rotture o malfunzionamenti del catetere, e almeno ad altrettanti che richiedono l’estrazione di cateteri abbandonati per ripristinare un accesso venoso idoneo alla procedura. Non è dunque irrealistico pensare che ogni anno altri 30-50mila pazienti richiedano una procedura di estrazione cateteri per motivi “non infettivi”».
La procedura di estrazione può essere eseguita in tutti i centri cardiochirurgici?
«No, è una procedura che può essere eseguita solo nei Centri che siano dotati di un’organizzazione idonea, che prevede la presenza di un elettrofisiologo esperto in queste procedure e l’assistenza di una cardiochirurgia che consenta di intervenire nei casi che si complicano. Le complicanze non sono molte, riguardano circa l’1% delle procedure, ma possono essere molto pericolose se non si interviene in emergenza. Il problema sta nel fatto che i cateteri creano attorno a loro una cicatrice che li “salda” alle strutture venose e cardiache e quindi è possibile che si verifichi una perforazione del cuore o la rottura di vene di grandi dimensioni, eventi assolutamente pericolosi che vanno subito affrontati e risolti».
In Humanitas Gavazzeni il programma estrazione cateteri è attivo dal 2015…
«Sì, il Centro Cardio di Humanitas Gavazzeni opera in questa direzione in modo continuativo fin da quell’anno. Annualmente vengono trattati 40-50 pazienti, con strumenti chirurgici all’avanguardia, che consentono di aumentare il successo e ridurre i tempi delle procedure. Ad oggi nel nostro Centro sono stati trattati 307 pazienti, per un totale di 593 cateteri sottoposti a tentativo di estrazione».
Quali caratteristiche hanno avuto, nel dettaglio, gli interventi da voi effettuati?
«Sui 307 che ho citato, 176 pazienti, equivalenti al 57,3% sono stati operati per un’infezione del dispositivo, e i restanti 131 (43.7%) sono stati sottoposti a intervento per malfunzionamento del catetere o per mancanza di un accesso venoso. Il tempo medio trascorso dagli impianti sostituiti è di circa 6 anni, ma in un caso abbiamo rimosso un catetere che era stato impiantato 30 anni prima!».
Qual è la percentuale di riuscita dei vostri interventi?
«Grazie alla stretta collaborazione con i colleghi della Cardiochirurgia, la procedura è stata efficace nel 98% dei cateteri trattati. Nel 93,5% dei casi i cateteri sono stati rimossi con metodica percutanea e in un altro 4% dei casi di è ricorsi a un’estrazione chirugica. Questa stretta collaborazione ci consente di essere meno “aggressivi” dal punto di vista percutaneo e questo si traduce in una ridotta incidenza di complicanze. Anzi, possiamo dire di non avere mai dovuto affrontare, finora, complicanze gravi peri-procedurali».