I dispositivi elettrici immessi nel corpo di pazienti che soffrono di patologie cardiache – pacemaker o defibrillatori cardiaci impiantabili – consentono di verificare in tempo reale la condizione di salute del muscolo cardiaco e sono in grado di trasmettere i dati richiesti in modalità wireless.
Come avviene e quali vantaggi comporta questo controllo? L’abbiamo chiesto al dottor Giosuè Mascioli, responsabile dell’Unità Operativa di Elettrofisiologia di Humanitas Gavazzeni Bergamo.
«Ci sono due tipi di intervento da remoto: uno è il controllo e l’altro è il monitoraggio. Il controllo a distanza consiste nel verificare se l’apparecchio impiantato in un paziente – parliamo in particolare di defibrillatori e di pacemaker, anche se questi ultimi sono meno frequenti – funzioni perfettamente. Si tratta dunque di verificare che la batteria sia carica e che il funzionamento elettrico del dispositivo sia perfetto».
Che cosa si intende, invece, per monitoraggio a distanza?
«Effettuare un monitoraggio a distanza significa tenere sotto controllo in ogni momento i parametri clinici fondamentali relativi al paziente, come la frequenza cardiaca o l’impedenza toracica, che è l’indice che indica quanti liquidi sono presenti nel torace. Parametri che ci permettono di valutare come il paziente che ha il defibrillatore – e che è a rischio di avere scompensi cardiaci – stia reagendo alle cure, così da permettere in modo tempestivo un eventuale intervento in caso di necessità».
Quali sono i vantaggi dell’effettuare un controllo e un monitoraggio a distanza?
«Il fatto di poter eseguire queste due azioni a distanza permette di ridurre i controlli ospedalieri, fare sì che il paziente si debba recare il meno possibile nella realtà ospedaliera. In passato in ospedale veniva effettuato un controllo ogni 4/6 mesi, oggi lì possiamo farne uno solo all’anno. Gli altri controlli vengono eseguiti a domicilio: ogni tre mesi inviamo a casa di ogni paziente un report in cui viene riassunta la situazione e, se necessario, lo invitiamo a recarsi dal proprio medico curante per analizzare i dati inviati».
Controllo e monitoraggio a distanza sono funzioni inserite nell’apparecchio o è necessario impiantare altri dispositivi?
«Non bisogna impiantare nient’altro. Tutti i defibrillatori e pacemaker da noi utilizzati sono ormai dotati di una funzione wireless, per la quale si “svegliano” da soli ogni notte e comunicano i dati al ricevitore che il paziente ha sul comodino, che provvede in seguito a trasmetterli direttamente sul nostro computer».
Che tipo di messaggio vi arriva?
«Ce ne sono di due tipi. C’è la trasmissione cosiddetta programmata, che viene inviata ogni tre mesi e corrisponde al report che poi noi giriamo al paziente. Se va tutto bene abbiamo solo quella. Se invece si è in presenza di allarmi particolari – come aritmie gravi per il paziente, segni di malfunzionamento del dispositivo o qualcosa che possa far presagire uno scompenso cardiaco – allora ci arriva un alert diverso, fuori da quello programmato, che ci invita a intervenire in tempi ristrettissimi».
Il paziente può scegliere se consentire o meno il controllo e il monitoraggio a distanza?
«Sì, è libero ovviamente di scegliere. Come il paziente accetti questa cosa varia molto da paziente a paziente. Abbiamo una minoranza che proprio non ne vuole sapere, non gradisce questo tipo di controllo. Altri pazienti non si rendono conto della sua utilità, ma si tratta di una sparuta minoranza: fortunatamente la maggior parte dei pazienti considera questo strumento come fondamentale».
Perché un paziente può essere indotto a non volere il controllo a distanza?
«In genere dicono di no i pazienti che hanno paura di essere “controllati” da questo dispositivo. Si tratta di una sparuta minoranza: parliamo di quattro-cinque persone a fronte degli oltre 600 pazienti che abbiamo in controllo. Un falso mito abbastanza diffuso è quello che noi si possa modificare la programmazione attraverso questo controllo a distanza. Esistono alcune fake news su internet in questo senso, ma è una cosa del tutto priva di fondamento. Una visione errata che è stata indotta anche da alcuni telefilm che hanno raccontato fatti del genere, generando in alcune persone la falsa credenza che si possa fare. In realtà è del tutto impossibile!».