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I farmaci immunoterapici sono più efficaci sugli uomini: al via un progetto di ricerca per capirne il motivo

Uno studio che ha coinvolto 11mila pazienti, pubblicato sulla rivista “The Lancet Oncology” nel 2018 dal dottor Fabio Conforti, Responsabile della Sezione di Senologia Medica dell’Area Oncologica di Humanitas Gavazzeni di Bergamo, indica che, per quanto riguarda l’utilizzo di farmaci immunoterapici, le donne ottengono un beneficio inferiore di circa la metà in termini di sopravvivenza rispetto agli uomini.

È oggi al via un progetto di ricerca sostenuto dal 5×1000 di Fondazione Humanitas per la Ricerca per studiare i fattori alla base di questa discrepanza e per capire come superarla. Lo studio – guidato dallo stesso dottor Fabio Conforti – arruolerà una coorte di pazienti, sia maschi sia femmine, affetti da tumore del polmone candidati a ricevere immunoterapia.

Immunoterapia, migliori sopravvivenza e qualità della vita

Obiettivo del progetto di ricerca è quello di identificare il “gap” che riduce l’efficacia dell’immunoterapia nelle donne rispetto agli uomini a parità di condizioni cliniche. «Abbiamo scelto di incentrarci sull’immunoterapia – spiega Conforti – cioè su una (recente) classe di farmaci, prevalentemente anticorpi, che aiutano il sistema immunitario del paziente a riconoscere le cellule tumorali e ad eliminarle. È una tipologia di cura che negli ultimi anni si è dimostrata in grado di “rivoluzionare” il trattamento di pazienti affetti da numerosi tipi di tumore, come il carcinoma polmonare, i tumori genitourinari e il melanoma, favorendo risultati migliori in termini di sopravvivenza e qualità di vita, rispetto alle terapie convenzionali quali la chemioterapia. Tuttavia recenti e prime evidenze mostrano che la risposta all’immunoterapia è influenzata, indipendentemente dal tumore solido trattato, dal genere: gli uomini rispondono meglio al trattamento rispetto alle donne».

Un fattore cruciale cui lo studio auspica di potere dare risposte concrete: per questo tutti i pazienti verranno sottoposti a biopsie, prima e dopo la terapia, al fine di studiare la risposta al trattamento, dal punto di vista della diversa attivazione del sistema immunitario e dei differenti meccanismi di resistenza che si sviluppano nel tumore. «Oggi sappiamo che dopo una prima fase di efficacia dei farmaci immunoterapici – prosegue il dottor Conforti – può accadere che il tumore sviluppi una resistenza al trattamento. Abbiamo quindi l’obiettivo di identificare i meccanismi biologici che sottendono a questo fenomeno, personalizzare strategie terapeutiche per ciascun diverso sottogruppo di pazienti, quindi migliorare la prognosi e la sopravvivenza dei pazienti affetti da tumore. Particolare attenzione verrà riservata alle donne, uno dei sottogruppi maggiormente penalizzati dalla risposta all’immunoterapia».

Lo studio pubblicato su “Lancet Oncology”

Il lavoro pubblicato dal dottor Conforti e colleghi nel 2018 su “Lancet Oncology”, analizza i dati di pazienti trattati con immunoterapia all’interno di 20 diversi studi clinici e mostra come le donne ottengano un beneficio, in termini di miglioramento della sopravvivenza, inferiore di circa la metà rispetto al beneficio ottenuto nei pazienti maschi. «Questi nostri primi risultati, che sono stati confermati anche da altri gruppi di ricerca internazionali – spiega Fabio Conforti – ci mettono di fronte a importanti quesiti. In primo luogo comprendere la ragione per cui tale differenza, condizionata dal genere, emersa dalla nostra ricerca non sia stata rilevata negli almeno 20 studi clinici precedentemente condotti. Probabilmente questo è dovuto al fatto che in tutte le ricerche degli ultimi 15 anni il genere femminile è stato sensibilmente sotto-rappresentato, costituendo poco più del 30% di tutta la popolazione considerata. Tale sotto-rappresentazione, costante negli anni e nello studio delle diverse patologie tumorali, impedisce di cogliere le differenze di genere dell’efficacia dei nuovi farmaci sperimentati all’interno dei singoli studi. Ma questa diversità di reazione alle cure immunoterapiche potrebbe dipendere dalla caratterizzazione, ancora assente, dei meccanismi biologici che condizionano la risposta di genere».

Meccanismi di resistenza differenti

L’aspetto legato ai meccanismi biologici, oggi ancora scarsamente indagato, costituirà il nucleo della nuova ricerca di Conforti anche a seguito di risultati clinici preliminari che suggerirebbero che l’efficacia dell’immunoterapia può essere ulteriormente migliorata da nuove strategie immunoterapiche, personalizzate sulla base delle specifiche caratteristiche biologiche delle donne e degli uomini. A dimostrazione di ciò un lavoro più recente di Conforti, condotto in collaborazione con un “network” di altri centri internazionali – Harvard University di Boston, Cornell University di New York, MD Anderson Cancer Center di Huston e Università Bicocca di Milano – che ha analizzato i campioni tumorali di più di 2.500 pazienti affetti da tumore polmonare, sembra identificare alcune differenze molecolari che suggeriscono che il sistema immunitario dei maschi e delle femmine non solo produce risposte antitumorali qualitativamente e quantitativamente differenti ma anche che i tumori che insorgono nei due sessi utilizzerebbero meccanismi di resistenza differenti per sfuggire alla risposta del sistema immunitario.

Il fattore “genere” come elemento cruciale

«Le ipotesi, da indagare, alla base del fenomeno di efficacia/resistenza all’immunoterapia riguardano l’assetto ormonale che potrebbe condizionare la differente risposta terapeutica nell’uomo-donna, oltre al diverso funzionamento del sistema immunitario. Pertanto obiettivo delle ricerche presenti e future – conclude il dottor Conforti – sarà capire il ruolo degli ormoni, il possibile differente impatto generato nelle diverse fasce di età della donna, pre o post-menopausale e altre indicazioni caratterizzanti. Risposte che consentiranno il disegno di specifici approcci terapeutici, ad esempio la somministrazione di trattamenti immunoterapici in maniera contestuale a trattamenti endocrini ormonali in pazienti di entrambi i sessi, in accordo a età e stato menopausale nelle donne. Tali indicazioni suggeriscono un’importante riflessione: le ricerche/sperimentazioni attuali e del futuro dovrebbero tenere conto del fattore “genere” come elemento cruciale su cui strutturare approcci terapeutici mirati».

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