Le mani sono organismo complessi, potenti ma allo stesso tempo fragili, fatti non solo di ossa ma anche di strutture legamentose, capsulari, tendini, nervi e arterie.
Da pochi decenni esiste una chirurgia dedicata che, grazie all’innovazione tecnologica e chirurgica, è in grado di intervenire con sempre migliori risultati. Ne parliamo con il dottor Davide Smarrelli, responsabile della Chirurgia della mano di Humanitas Gavazzeni Bergamo.
Perché è importante che ci sia una specifica chirurgia della mano?
«Perché la chirurgia della mano è un mondo a parte. È una chirurgia definita piccola, e in realtà lo è perché piccole sono le strutture e piccoli sono i mezzi che utilizziamo, ma allo stesso tempo è un insieme di tante chirurgie. Quando dobbiamo riattaccare e lavorare sui nervi, applichiamo tecniche neurochirurgiche; quando dobbiamo riattaccare delle strutture vascolari applichiamo tecniche vascolari; utilizziamo poi tecniche microchirurgiche nelle ricostruzioni delle componenti della mano; siamo infine anche chirurghi plastici perché tutte le coperture sulle strutture non ossee richiedono delle conoscenze di chirurgia plastica. E poi, di base, siamo di estrazione ortopedica perché l’impalcatura della mano è fatta di tantissime ossa, tendini e legamenti che sono di competenza, appunto, ortopedica».
Al di là degli eventi traumatici quali sono le malattie più frequenti su cui interviene la chirurgia della mano?
«Predominanti sono le patologie compressive e degenerative, dalla sindrome del tunnel carpale fino a patologie molto rare, senza escludere patologie meno frequenti come i tumori, le patologie a carico delle parti molli (cisti, tendiniti), tutte patologie che possono emergere senza particolari traumi specifici, fino ad arrivare alle patologie articolari degenerative come l’artrosi».
A proposito di artrosi alle mani, come si interviene?
«L’artrosi è più difusa tra le donne ma senza che vi sia una ragione conclamata. Sicuramente è predominante la componente genetica e familiare cui si associano altre condizioni anche lavorative o traumatiche. Ha tante forme, ma il nostro compito nella scelta del trattamento di cura è rispondere all’esigenza funzionale di ogni paziente, per preservare la degenerazione articolare. Oggi esistono possibilità terapeutiche, anche chirurgiche, purtroppo però non possiamo fare molta prevenzione. Sulla mano e sul polso abbiamo sviluppato negli ultimi 15-20 anni tantissime tecniche che vanno da interventi biologici fino ad arrivare all’applicazione di protesi».
Le novità interessano in particolare il polso…
«Negli ultimi 20 anni l’attenzione dedicata al polso è cambiata e la patologia del polso è sempre meglio definita e trattata. Recentemente, l’introduzione di alcuni materiali ha permesso di sviluppare e intraprendere tecniche chirurgiche non troppo invasive che permettono di poter migliorare la sintomatologia dolorosa e anche mantenere una buona articolarità del polso grazie ad alcune miniprotesi in pirocarbonio che permettono di impedire il blocco completo del polso».
Il tunnel carpale, invece, come si manifesta e quando e come bisogna intervenire?
«È una sensazione fastidiosa di un forte formicolio che incide sulla sensibilità della mano. Se il disturbo è frequente bisogna intervenire chirurgicamente. È un intervento molto comune ma spesso sottovalutato. La ripresa è rapidissima nella scomparsa del formicolio, poi il recupero funzionale cambia da soggetto a soggetto. Nel 96% dei casi il problema si risolve».
Altri interventi diffusi?
«Sono quelli legati alle tendiniti, alle patologie dei tessuti molli, alle ricostruzioni legamentose, ai legamenti del polso. Oggi con i mezzi diagnostici più efficienti che abbiamo a disposizione riusciamo ad avvicinarci a una buona diagnosi e a trovare il trattamento più adatto a ogni caso specifico».
Articolo pubblicato il 3 luglio 2016 sul quotidiano “Eco di Bergamo”.