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Tumore al seno e prevenzione. Domande e risposte in diretta Facebook

In occasione del mese dedicato alla prevenzione senologica, nell’ambito del progetto di Humanitas “Sorrisi in rosa”, dedicato alle donne che hanno vinto la loro battaglia contro il tumore al seno, Massimo Grassi, responsabile Brest Unit di Humanitas Gavazzeni e Paola Cornero, responsabile del volontariato dell’associazione “Amiche per mano” hanno risposto alle domande inviate da tante donne attraverso i social.

Gli argomenti trattati hanno riguardato soprattutto gli aspetti della prevenzione e del supporto da prestare alle pazienti e ai loro famigliari.

 

La prevenzione è la migliore arma contro il tumore al seno

Queste le risposte del dottor Massimo Grassi responsabile della Brest Unit.

Da quale età è importante cominciare con la prevenzione e in che cosa consiste una prevenzione fatta correttamente?

«Prima di tutto bisogna spiegare che cosa s’intende con “prevenzione”. Oggi la prevenzione va divisa in due momenti: quella primaria, che dipende esclusivamente da noi e che contempla gli stili di vita – alimentazione, controllo del peso, attività fisica, abolizione del fumo e dell’alcol – che oggi consente di ridurre del 40% il rischio di malattia; e quella secondaria che è invece legata agli esami clinici e strumentali. La cosa importante è sottolineare che questa prevenzione inizia con una visita clinica. Non è pensabile fare prevenzione solo con gli strumenti. Una ragazza dell’età di 20 anni dovrebbe cominciare a fare una visita senologica e poi, in relazione alle esigenze stabilite dallo specialista, eventuali esami complementari. È chiaro che con il passare degli anni la prevenzione cambia: se fino ai 40 anni è necessaria un’ecografia mammaria, sempre a discrezione dello specialista, dopo quell’età diventa importante la mammografia con una cadenza che può essere di uno-due anni, sempre a discrezione dello specialista».

Qual è lo specialista cui bisogna rivolgersi? Il senologo o il chirurgo?

«L’esperto in ambito senologico è il senologo. Oggi purtroppo si nota che molte pazienti fanno prevenzione facendosi prescrivere dal medico di base o la mammografia o l’ecografia o si fanno seguire esclusivamente dal ginecologo. Per quanto detto prima, però, per la prevenzione del tumore del seno la collaborazione con il senologo è fondamentale. ».

Quali sono i controlli che una ragazza sopra i 25 anni, soggetto a rischio, dovrebbe fare?

«Il soggetto a rischio è un soggetto che ha una grossa familiarità, quindi molti casi di tumore alla mammella nell’ambito della famiglia. Molto spesso un soggetto con queste caratteristiche entra in un percorso che può prevedere anche un test genetico. Si tratta di un test che non può essere richiesto dal medico di famiglia, ma deve essere fatto in base a criteri ben precisi di selezione delle pazienti. Queste donne iniziano un percorso di valutazione del rischio che, se dà determinati risultati, candida la paziente all’esecuzione del test».

Come funziona il test genetico?

«Se lo studio dell’albero genealogico della paziente fa ritenere ci sia presenza di una forte familiarità, questa viene sottoposta a una serie di test. Se l’analisi di questi test porta a un valore superiore al 10% la paziente viene sottoposta a un prelievo del sangue e dunque all’esecuzione fisica del test del DNA, dopo avere passato una serie di step di natura psicologica considerati indispensabili ».

Quali consigli possono essere dati alle donne dal punto di vista della prevenzione attraverso l’alimentazione?

«Ricordo sempre a tutte le pazienti che in Italia abbiamo la fortuna di avere un patrimonio dell’umanità che è la dieta mediterranea, che prevede ogni tipo di alimento, ed è diversificata a seconda delle stagioni. Penso che si debba seguire questo tipo di dieta, che prevede un consumo intelligente di tutti gli alimenti. L’importante è agire sempre con buon senso e non essere esagerati o drastici nel limitare troppo quello che, non dimentichiamolo, è uno dei piaceri della vita».

È possibile avvertire dolori alle articolazioni a causa di cure post-operatorie per carcinoma al seno?

«Sì. Uno degli effetti collaterali dei farmaci usati più di frequente, gli inibitori dell’aromatasi, soprattutto in donne in post-menopausa, è proprio il dolore diffuso. Quando si manifesta è comunque sempre meglio parlarne con l’oncologo così che possa eventualmente rimodulare la terapia e, se necessario, sostituire il farmaco con un altro di uguale valore ma minori effetti sulla paziente».

Come ci si deve comportare davanti a una diagnosi di fibroadenoma?

«Bisogna considerare l’età della paziente. Nel caso in cui abbia meno di 40 anni ci troviamo in una situazione tranquilla perché si tratta di un tumore benigno tipico delle donne giovani e che ha una possibilità di degenerazione quasi nulla. Lo specialista, dopo accurato controllo, decide se procedere con un intervento, che si chiama enucleazione, solo quando il fibroadenoma assume una certa dimensione e quando dà fastidio dal punto di vista estetico-funzionale. Diverso è se il fibroadenoma compare dopo i 40 anni: a partire da questa età tutti i noduli vanno considerati in un altro modo, anche se il fibroadenoma è comunque benigno per definizione».

Che cosa ci dobbiamo aspettare per il futuro dal punto di vista della lotta al tumore al seno?

«Il messaggio che deve partire dalle breast unit è che ci auguriamo che sempre più donne si avvicinino alla prevenzione visto che oggi è assolutamente dimostrato che una prevenzione ben fatta permette una sopravvivenza superiore al 96% dei casi. Se pensiamo che alla fine del 2018 in Italia si conteranno qualcosa come 58mila nuovi casi di tumore alla mammella, è chiaro che a fronte di questa incidenza, che è in aumento, diventa ancor più importante la prevenzione per avere una riduzione dell’incidenza di mortalità».

 

Fiducia, positività ed energia: l’importanza del supporto alle pazienti e ai loro famigliari

E queste le domande rivolte alla responsabile di “Amiche per mano”, Paola Cornero.

Quali sono le attività dell’associazione “Amiche per mano”?

«La nostra associazione è nata due anni e mezzo fa per volontà e con l’aiuto del dottor Grassi. Ci occupiamo di sostenere in tutti i modi che ci sono possibili le donne che devono affrontare questo percorso e lo facciamo da un lato creando eventi per raccogliere fondi che poi destiniamo alla ricerca e dall’altro con l’attività di volontariato in ospedale. Seguiamo le donne dal momento della diagnosi all’intervento, le assistiamo durante le cure pre e post-intervento, per un periodo anche abbastanza lungo».

Quali sono le domande che più spesso vi rivolgono le pazienti?

«Dopo l’intervento hanno l’esigenza di essere tranquillizzate in relazione agli esiti, anche se i medici hanno già agito in questa direzione. A seguire, le domande riguardano soprattutto la qualità di vita: quando potrò tornare a lavorare? Quando potrò tornare in palestra? Quando potrò tornare alle mie attività quotidiane? Domande anche molto semplici. Noi cerchiamo di rispondere portando le nostre esperienze ma sempre rimandando alle indicazioni del medico».

Nel percorso è inserita anche la figura dello psicologo, che tipo di intervento è, il suo?

«Lo psicologo in una brest unit è molto utile. E noi, volontarie e pazienti, ci appoggiamo a lui ogni volta che ne sentiamo il bisogno. Curare l’aspetto psicologico, in questa nostra malattia, non dico che valga tanto quanto le medicine, ma è sicuramente un approccio vincente. Fiducia, positività, energia sono tutti aspetti che agiscono sulla salute psicologica oltre che fisica».

In quale modo state vicine alle pazienti e al contesto in cui sono inserite?

«Iincontriamo i famigliari nei giorni dell’intervento e quando le pazienti vanno a fare la terapia. Spesso sono più i famigliari ad avere bisogno di un sostegno facendo due chiacchiere, condividendo i dubbi o le paure. Questo perché le donne che sono state operate, che seguono le terapie, spesso trovano dentro di sé forze incredibili che le portano addirittura a sostenere i propri famigliari. Il momento peggiore per le pazienti, che richiede più aiuto esterno, è quello della stanchezza dovuta alla lunghezza delle terapie. È utile condividere la difficoltà, parlandone anche con parenti e amici».

Quale futuro vi augurate per “Amiche per mano”?

«Ci auguriamo che sempre più persone si avvicinino alla nostra associazione, per diffondere sempre più quel senso di amicizia che si crea nel tempo tra le persone – pazienti e volontarie – che vivono questa importante esperienza».

 

Guarda la diretta completa:

https://www.facebook.com/humanitasgavazzeni/videos/528721560869649/