Dal punto di vista della diffusione, il tumore della prostata è secondo, tra gli uomini, solo al tumore al polmone. Si tratta di una patologia molto frequente a partire dai 50 anni, la cui incidenza si acuisce con il trascorrere degli anni, tanto che l’età media di chi la contrae si aggira attorno ai 70 anni.
La buona notizia è che in questi ultimi anni – ne parliamo con il dottor Emanuele Micheli, responsabile dell’Unità Operativa di Urologia di Humanitas Gavazzeni di Bergamo – sono stati fatti passi da gigante sia sotto l’aspetto della diagnosi sia per quanto riguarda la cura di questa malattia.
Dottor Micheli, oggi è più facile individuare la presenza di un tumore alla prostata. Di quali nuovi strumenti disponiamo?
«Le novità più evidenti riguardano la possibilità di pervenire a una diagnosi precoce. Il grande cambiamento è avvenuto grazie all’introduzione della risonanza magnetica multiparametrica prostatica che è in grado di identificare in modo specifico le aree all’interno della prostata che possono essere considerate sospette di tipo tumorale. Alla luce dei risultati della risonanza è possibile inoltre eseguire delle biopsie mirate prostatiche sulle zone evidenziate, così da poter pervenire a una diagnosi ancor più accurata».
Dal punto di vista della terapia, invece, quali sono le novità?
«Il cambiamento più evidente è che oggi sono state identificate alcune malattie a basso potenziale di malignità che fino ad alcuni anni fa venivano operate e che ora invece teniamo sotto controllo attuando la cosiddetta “sorveglianza attiva”. Si parte dal presupposto che molto probabilmente queste malattie non svilupperanno mai un tumore o comunque una forma patologica invalidante. Per questo la situazione viene tenuta sotto controllo periodico secondo protocolli noti e ben stabiliti, così da evitare interventi chirurgici quando non sono strettamente necessari».
E quando invece la malattia è importante, come si interviene?
«Le cure per le malattie con un potenziale di malignità alto sono le stesse utilizzate negli ultimi anni, ma sono state nel tempo molto migliorate dal punto di vista tecnico. L’intervento chirurgico, ad esempio, pur essendo quello di sempre dal punto di vista dell’intervento, oggi può essere eseguito sia utilizzando la metodica standard “a cielo aperto” sia in forma meno invasiva, con la videolaparoscopia e, dove i centri ne sono attrezzati, con la metodica della robotica. Innovazioni, queste, che possono comportare grandi vantaggi per il paziente, a partire da un minor rischio di perdite ematiche e da una riduzione dei tempi di degenza per arrivare alla possibilità di mantenere un’adeguata continenza e conservare una capacità sessuale soddisfacente».
Si parla sempre più di “terapia focale” per il tumore della prostata, di che cosa si tratta?
«La terapia focale per il tumore della prostata è ancora agli albori ma potrebbe avere un futuro promettente. Si tratta di una nuova tipologia di intervento che riguarda i pazienti affetti da tumore prostatico non ancora aggressivo, tenuto sotto controllo con la “sorveglianza attiva”. Il trattamento prevede l’utilizzo di un laser multicanale a diodi che permette di praticare necrosi coagulative nelle aree segnalate come sospette tumorali dalla risonanza magnetica e poi convalidate dalla biopsia. “Necrosi coagulativa” significa che con degli aghi ultrasottili raggiungiamo le aree sospette e le andiamo a “bruciare” con il laser, cosi da bloccare il tumore e diminuire il rischio di progressione della malattia. Questo trattamento ha dalla sua il fatto che consente di non dover giungere all’intervento chirurgico o all’esecuzione di sedute di radioterapia».
Già oggi comunque la presenza di una forma tumorale alla prostata non richiede sempre l’esecuzione di un intervento chirurgico…
«Non necessariamente. Prima di arrivarci si può procedere con una terapia farmacologica di tipo ormonale, soprattutto quando il paziente ha un’età avanzata e l’intervento chirurgico non è indicato. Prima di questo intervento si può inoltre procedere con la radioterapia che in molti casi è un trattamento che si sostituisce alla stessa chirurgia. Bisogna anche dire che in questi ultimi anni sono stati introdotti anche altri farmaci di tipo chemioterapico che consentono un prolungamento importante della sopravvivenza in pazienti che hanno una malattia avanzata».
Quali sono i sintomi cui dobbiamo prestare attenzione?
«Il tumore alla prostata nella sua fase iniziale non dà sintomi. Segnali come l’aumento della frequenza minzionale o la difficoltà a urinare sono infatti più tipici dell’ipertrofia prostatica benigna. Quando un paziente cui è stato diagnosticato un tumore alla prostata dice di stare bene, significa che questo è localizzato solo in quest’organo. Gli eventuali sintomi compaiono infatti solo nel caso in cui la forma tumorale si sia distribuita a livello metastatico, cosa che succede soprattutto a livello delle ossa».
È possibile prevenire il tumore della prostata?
«Sì, la prevenzione consiste nel sottoporsi a visite urologiche periodiche a partire dai 50 anni e nel verificare con costanza il dosaggio del PSA, proteina che quando si presenta a livelli aumentati può indicare che c’è presenza di un tumore. Un’accortezza che deve essere tenuta in considerazione soprattutto dagli uomini che hanno una familiarità per tumore della prostata, cioè hanno parenti – padre o fratelli – che hanno avuto questa malattia. Il tutto tenendo conto del fatto che le percentuali di guarigione oggi sono molto alte soprattutto nei pazienti in cui si fa una diagnosi precoce, che anche in questo ambito è di fondamentale importanza».
Attività sportiva e alimentazione sana possono essere d’aiuto?
«Certo. I consigli sono quelli di svolgere una regolare e corretta attività sportiva e di adottare un’alimentazione con pochi grassi, poco alcol, poco caffè, evitando un largo uso di alimenti piccanti o spezie in genere».