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Dismenorrea (dolori mestruali)

Dismenorrea (dolori mestruali)

 

Dismenorrea è il termine medico con cui vengono indicati i dolori associati al ciclo mestruale. In alcuni casi, la sintomatologia è gestibile con facilità grazie a trattamenti come l’assunzione di antidolorifici; per alcune donne, invece, si tratta di un problema estremamente debilitante che può interferire con le normali attività quotidiane.

 

Che cos’è la dismenorrea?

La dismenorrea è un disturbo che accumuna moltissime donne, soprattutto quelle che rientrano nella fascia d’età sotto i 20 anni o le donne che hanno avuto il primo ciclo prima degli 11 anni, quelle che soffrono di mestruazioni abbondanti o che hanno un ciclo irregolare, le donne che non hanno avuto figli o le cui madri soffrono o hanno sofferto di dismenorrea, nonché le donne con il vizio del fumo. In linea di massima la dismenorrea non viene collegata a ulteriori complicazioni dell’apparato riproduttivo, ma se a causarla sono patologie specifiche, la sintomatologia algica può interessare anche la fase pre e post mestruale e a volte può arrivare a causare la comprimissione anche più seria della qualità della vita, così da creare scompensi con la sfera del lavoro e delle altre attività che fanno parte della routine quotidiana

 

Quali sono le cause della dismenorrea?

Frequentemente la causa originaria del dolore mestruale non è una sola causa specifica. In questo caso si parla di dismenorrea primaria. Nei casi di dismenorrea secondaria, invece, i sintomi sono legati a patologie dell’apparato riproduttivo, come l’endometriosi, l’adenomiosi, fibromi uterini, infezioni o stenosi (restringimenti) della cervice uterina. Le contrazioni dell’utero promosse dalle prostaglandine, ossia molecole associate all’infiammazione, sono la causa scatenante dei dolori che a volte assumono entità anche molto dolorosa. Alcuni medici ritengono che nel momento in cui queste assumono eccessiva intensità, i vasi sanguigni si ristringono irrorando l’utero e limitando l’apporto di ossigeno per periodi di scarsa entità.

 

Quali sono i sintomi della dismenorrea?

La dismenorrea si presenta come una serie di dolori crampiformi e colici (ossia con momenti di maggior sofferenza e momenti in cui il dolore è minore) che colpisce la parte bassa dell’addome. La sintomatologia dolorosa può estendersi alla parte bassa della schiena e agli arti inferiori e può essere associata a nausea, vomito, vertigini, sudorazione intensa ed episodi diarroici. Nel caso della dismenorrea primaria in genere i dolori iniziano 1 o 2 giorni prima delle mestruazioni e durano per 12-72 ore, si riducono con l’avanzare degli anni e possono scomparire dopo la prima gravidanza. Quando si presenta invece come secondaria, il dolore della dismenorrea di presenta prima e dura per periodi maggiori senza essere associato ad ulteriori sintomatologie.

 

Come prevenire la dismenorrea?

Non è attualmente noto un trattamento per la dismenorrea. Tuttavia, un’alimentazione sana può aiutare a ridurre i sintomi.

 

Diagnosi

La diagnosi di dismenorrea prevede l’incontro con il medico specialista, il quale chiede alla paziente di descrivere i sintomi avvertiti ed esamina lo stato di salute degli organi riproduttivi attraverso la visita e l’ecografia transvaginale.

In caso di sospetta dismenorrea secondaria possono essere prescritti i seguenti esami:

  • Risonanza magnetica
  • Isteroscopia
  • Laparoscopia

 

Trattamenti

Nel caso della dismenorrea secondaria la terapia più adatta dipende dalla patologia associata ai dolori. Solo trattando quest’ultima è infatti possibile eliminare o ridurre il dolore.

In caso di dismenorrea primaria l’unico approccio terapeutico possibile è quello a base di farmaci antinfiammatori non steroidei, che aiutano a contrastare il dolore, o di anticoncezionali. La pillola, infatti, impedisce l’ovulazione e, quindi, riduce l’intensità degli spasmi dell’utero.

Spesso inoltre si ricorre alla supplementazione di magnesio (che riduce gli spasmi muscolari) in fase pre-mestruale.

Endometriosi

Endometriosi

 

Con il termine endometriosi si indica un disturbo patologico benigna molto comune in ginecologia e in medicina della riproduzione. Si tratta si una patologia che prevede la presenza di tessuto endometriale (il tessuto che normalmente si trova solo all’interno della cavità uterina) in sedi diverse da quelle fisiologiche.

È una patologia molto frequente nella popolazione generale e si calcola che possa interessare il 10-20% delle donne in età fertile.

Colpisce infatti prevalentemente donne tra i 25 e i 35 anni ed è praticamente assente nell’età pre-puberale e post-menopausale.

 

Che cos’è l’endometriosi?

L’endometriosi si presenta in un’ampia gamma di sedi, anche molto diverse tra loro, ma sicuramente quella più comune è quella ovarica, dove spesso si formano cisti con dimensioni che vanno da pochi millimetri sino a 10 centimetri e possono essere monolaterali o bilaterali. La cisti endometriosica contiene sangue che è a tutti gli effetti sangue mestruale, prodotto dalle cellule endometriali, le quali si comportano come se fossero nella loro sede naturale, l’utero. Queste cisti vengono definite anche cisti “cioccolato” per il colore del loro contenuto ematico.

 

Altre localizzazioni dell’endometriosi sono:

  • – il peritoneo pelvico (fossette ovariche, legamenti uterini, setto retto/vaginale, plica vescico/uterina, peritoneo pelvico peri viscerale).
  • – organi pelvici quali la vescica, l’uretere o l’intestino.

Lo spessore della parete uterina (in questo caso l’endometriosi viene definita adenomiosi).

Organi o tessuti collocati in aree esterne alle pelvi, come la pleura (in questo caso si parla di endometriosi extra-pelvica e si tratta di manifestazioni più rare della patologia).

 

Quali sono le cause dell’endometriosi?

Nonostante si tratti di una patolopgia medica presa in grande considerazione dalla comunità medica, gli studiosi e i ricercatori non hanno ancora definito il meccanismo specifico che sta alla base della sua formazione.

Una delle teorie più antiche, ma a tutt’oggi tra le più accreditate, è quella della cosiddetta “mestruazione retrograda”, ovvero che, durante la mestruazione, il sangue refluisca dall’utero nella pelvi, attraverso le tube, conducendo all’impianto di cellule endometriali sul peritoneo e sugli organi pelvici. Ma probabilmente questa teoria, da sola, non basta a spiegare l’insorgenza dell’endometriosi. Esistono poi numerosi studiosi che ritengono probabile una sua origine dovuta a metaplasia (ossia una modificazione ex novo) del tessuto di rivestimento della pelvi o da una disseminazione delle cellule endometriali per via linfatica o ematica (quasi come un vero e proprio meccanismo metastatico).

Si prende anche in considerazione l’ipotesi che sia la predisposizione genetica l’origine vero e proprio dello sviluppo dell’endometriosi o un’alterazione del sistema immunitario, che permetta, in alcune donne, l’impianto di queste cellule e lo impedisca in altre.

 

Quali sono i sintomi dell’endometriosi?

Esistono numerose casistiche registrate che presentan situazioni in cui l’endometriosi è priva di sintomi e viene occasionalmente scoperta attraverso un’indagine ecografica di routine o nel corso di un intervento laparoscopico (eseguito nella maggior parte dei casi per infertilità).

Altre volte, la malattia è caratterizzata da una serie di sintomi che possono diventare anche molto invalidanti:

  • Dolore pelvico, soprattutto in fase peri-mestruale;
  • Mestruazioni dolorose (dismenorrea);
  • Dolore durante i rapporti sessuali (dispareunia), accentuata soprattutto nel periodo pre e post mestruale;
  • Irregolarità dei cicli mestruali con sanguinamenti anomali;
  • Dolore alla defecazione;
  • Sterilità.

 

Qual è l’associazione tra endometriosi e infertilità?

L’associazione dell’endometriosi con la sterilità non è del tutto chiarita. Nelle endometriosi di alto grado l’infertilità è essenzialmente dovuta a fattori meccanici dati dal sovvertimento degli organi pelvici e alla formazione di aderenze con conseguente alterazione dei rapporti tra le tube e le ovaie. Inoltre, i grossi endometriomi ovarici potrebbero contrastare i normali meccanismi ovulatori, così come la presenza di adenomiosi uterina potrebbe avere un impatto decisamente non negativo con le possibilità di avere una gravidanza.

Meno spiegabile è invece il rapporto tra l’infertilità e gradi leggeri di endometriosi, in cui entrano probabilmente in gioco fattori infiammatori immunologici e vascolari non ancora del tutto chiariti.

 

Diagnosi

Nell’iter diagnostico, molto importante è l’anamnesi accurata della paziente. La prassi per identificare il disturbo vuole che la donna risponda ad una specifica serie di domande, soprattutto se soffre di patologie collegabili all’infertilità, se manifesta uno dei sintomi che possano essere riferiti alla presenza di endometriosi, ossia dolore pelvico cronico o ciclico, senso di peso, dolori mestruali in aggravamento, dolori durante i rapporti sessuali (in particolare durante la penetrazione profonda), dolori alla defecazione.

Il secondo step è l’esame fisico della paziente, che può permettere di diagnosticare localizzazioni endometriosiche a livello del setto retto vaginale, sulla cervice uterina o a livello dei fornici vaginali. L’esame fisico può inoltre rilevare particolari “fissità” degli organi pelvici, che devono far sospettare la presenza di endometriosi.

Uno strumento molto importante di diagnosi è l’ecografia trans vaginale. Attraverso l’esame ecografico è possibile visualizzare le formazioni cistiche endometriosiche a carico delle ovaie, dell’utero e degli altri organi pelvici, nonché cercare di identificare un eventuale sovvertimento anatomico che diverse casistiche di endometriosi comportano.

 

In casi molto selezionati può essere richiesta una RMN della pelvi, ma, dato il costo della procedura, la quale spesso non migliora le capacità diagnostiche di una buona ecografia trans vaginale, il suo utilizzo va limitato a quesiti particolari o per endometriosi che interessino organi non ginecologici (uretere, intestino, localizzazioni extra pelviche della malattia).

Lo strumento che meglio di ogni altro permette di rilevare l’endometriosi e di stadiarla è la laparoscopia. La laparoscopia è una tecnica chirurgica cosiddetta non-invasiva, nella quale, attraverso l’introduzione di una sonda collegata a una telecamera, nell’ombelico, è possibile visualizzare gli organi pelvici e, se necessario, sottoporli a interventi operativi.

 

La laparoscopia consente di poter arrivare ad una diagnosi di endometriosi in pazienti non sintomatiche, confermare la diagnosi ecografica di endometriosi o visualizzare i piccoli impianti peritoneali non visualizzabili con l’ecografia transvaginale. Infatti, la laparoscopia, tramite l’azione di magnificazione, permette l’individuazione di noduli endometriosici anche molto piccoli.

Non tutte le pazienti vanno avviate a una laparoscopia. È compito infatti dello specialista decidere in quali casi sia necessario suggerire uno strumento di diagnosi chirurgica.

Nelle donne asintomatiche il ricorso alla laparoscopia non è giustificato. È lo specialista che decide, caso per caso, quali pazienti avviare a una indagine laparoscopica.

La laparoscopia permette di eseguire una stadiazione della malattia endometriosica, secondo una classificazione creata dalla Società Americana di Medicina Riproduttiva nel 1996.

 

Trattamenti

La terapia dell’endometriosi si avvale di varie strategie che vanno dalla semplice osservazione, alle terapie mediche, alle terapie chirurgiche.

Alle pazienti asintomatiche e/o con piccoli endometriomi a carico delle ovaie e/o con impianti peritoneali non rilevanti, può essere proposta una semplice condotta d’attesa.

 

Le terapie mediche possono essere proposte alle pazienti che presentano sintomatologia dolorosa o per prevenire le recidive di endometriosi in pazienti già sottoposte a chirurgia.

I presidi medici più comunemente usati sono i preparati a base di progesterone o le associazioni estro progestiniche, ossia la classica pillola anticoncezionale, farmaci che possono essere utilizzati per lunghissimo tempo e che agiscono molto bene sulla risoluzione del dolore. Esistono poi altri farmaci, più costosi e non utilizzabili a lungo, il cui utilizzo va valutato dallo specialista.

Le terapie mediche non vengono prescritte per guarire l’endometriosi, ma per tenerne sotto controllo i sintomi, migliorando così la qualità di vita delle pazienti affette da questa patologia.

 

Il ricorso alla chirurgia deve essere valutato sempre molto attentamente e le indicazioni oggi sono quelle di sottoporre a intervento chirurgico solo quei casi in cui non ci sono alternative. La chirurgia infatti (e a maggior ragione quando non eseguita in modo corretto) può portare a degli effetti collaterali che determinano una diminuzione del potenziale riproduttivo della donna per una riduzione della sua riserva ovarica. Infatti, durante l’asportazione del tessuto endometriosico, spesso si danneggiano anche i tessuti sani, diminuendo per esempio il numero degli ovociti presenti nell’ovaio operato o creando alterazioni nella vascolarizzazione d’organo con conseguente diminuzione della sua funzione.

 

La tecnica chirurgica considerata il gold standard per l’endometriosi è la laparoscopia, che deve essere sempre però eseguita da chirurghi esperti, che abbiano a cuore la salute riproduttiva della donna e che utilizzino modalità chirurgiche corrette (per esempio l’asportazione di una cisti ovarica mediante l’identificazione del suo piano di clivaggio e il successivo stripping, ossia l’asportazione della sola capsula della cisti – nonché l’utilizzazione di tecniche di controllo dell’emostasi, ossia dei sanguinamenti, non troppo pesanti).

Fibroadenoma

Fibroadenoma

 

Il fibroadenoma è la forma di tumore benigno al seno più diffusa ed è più frequente nelle donne al di sotto dei trent’anni. La presenza del fibroadenoma non aumenta il rischio di sviluppare un carcinoma mammario. Raramente, carcinomi intraduttali o invasivi possono svilupparsi all’interno di un fibroadenoma, ma questo può avvenire, non per particolari condizioni predisponenti date dalla presenza del fibroadenoma, ma per gli stessi motivi per cui si può sviluppare in altre aree della mammella. Studi scientifici hanno anche individuato un’associazione tra fibroadenomi multipli e sindromi tumorali rare come la sindrome di Maffucci, la sindrome di Cowden e la sindrome di Carney.

 

Che cos’è il fibroadenoma?

Il fibroadenoma è un tumore benigno che si forma più frequentemente negli anni in cui la donna è fertile. La sua massa è formata da ghiandola mammaria e dal tessuto che la circonda.

Le sue dimensioni possono aumentare nel corso del tempo, soprattutto durante la gravidanza, mentre capita spesso che i fibroadenomi rimangano stabili dimensionalmente dopo la menopausa.

Generalmente i fibroadenomi sono costituiti singoli, solo circa il 10-20% è bilaterale. Fibroadenomi con un volume superiore ai 5 centimetri sono chiamati fibroadenomi giganti.

 

Quali sono le cause del fibroadenoma?

Le cause alla base della formazione di questo particolare tumore benigno sono attualmente ignote. Per lo più la comunità scientifica ritiene che siano gli ormoni sessuali a rivestire un ruolo predominante nel suo sviluppo.

 

Quali sono i sintomi del fibroadenoma?

I fibroadenomi si presentano come noduli isolati, duri al tatto che si muovono facilmente sotto alla pelle, solitamente indolori e dai margini ben definiti.

 

Come prevenire il fibroadenoma?

Non esistono comportamenti particolari per prevenire la formazione di un fibroadenoma. La diagnosi precoce può però essere favorita da controlli regolari e dall’autopalpazione del seno.

 

L’utilizzo della terapia anticoncezionale in presenza di fibroadenomi è ancora controbattuto. Non ci sono chiare evidenze scientifiche che controindichino l’utilizzo della pillola anticoncezionale se presenti fibroadenomi mammari. Alcuni studi evidenziano una riduzione dimensionale dei fibradenomi in pazienti che assumono contraccettivi orali.

 

Le donne che si avvicinano alla menopausa devono essere informate circa la possibilità che i cambiamenti ormonali favoriscano una parziale regressione spontanea, ma è altrettanto importante che le donne in menopausa tengano sotto controllo la comparsa di nuovi noduli attraverso l’autopalpazione e con lo screening mammografico, informandone tempestivamente il medico per il rischio che possa essere un nodulo tumorale.

 

Diagnosi

La diagnosi di fibroadenoma prevede:

una vista senologica e solitamente anche una ecografia al seno che consente di distinguere il fibroadenoma da una cisti a contenuto liquido denso, cosa non sempre facile se il nodulo è di piccole dimensioni.

mammografia e agobiopsia mammaria nei casi in cui le caratteristiche ecografiche siano sospette per carcinoma mammario.

 

Trattamenti

In caso di fibroadenoma, se l’ecografia o la eventuale biopsia hanno accertato la natura non maligna del nodulo e se lo stesso non aumenta velocemente di dimensioni, il trattamento può essere di tipo conservativo, verificando l’evoluzione del nodulo nel tempo mediante controlli clinici ed ecografici senza nessun particolare pericolo.

 

Tuttavia, nel caso in cui la presenza del fibroadenoma fosse associata a dolori o altri sintomi, se le sue dimensioni dovessero aumentare sopra i 3 centimetri o qualora fossero presenti un’anomala vascolarizzazione o bordi irregolari, il medico potrebbe consigliarne l’asportazione chirurgica.

La rimozione del fibroadenoma non comporta l’asportazione del tessuto mammario circostante perché solitamente è ben capsulato, non infiltra il tessuto circostante, ma tende a comprimerlo, per cui l’intervento non lascia tracce rilevanti nella forma del seno, anche in caso di noduli di grosse dimensioni, in quanto la ghiandola si riespande spontaneamente, una volta asportato il nodulo.

Fibromi uterini

Fibromi uterini

 

I fibromi uterini sono neoformazioni solide benigne che originano dal tessuto muscolare dell’utero e sono una vera e propria rappresentazione di tale neoplasia benigna, molto più frequente nel genere femminile che negli uomini. Basta pensare alle statistiche che evidenziano dati sorprendenti secondo cui una donna su tre, dopo i 35 anni, sia portatrice di almeno un mioma.

 

I fibromi uterini possono essere singoli o multipli e svilupparsi verso la cavità uterina, nello spessore della parete uterina o per l’esterno dell’utero. Queste formazioni tumorali benigne gofono di un’ampia gamma di variabili che vanno da pochi millimetri a diverse decine di centimetri, a volte paragonabili alla grandezza di un’anguria.

 

Che cosa sono i fibromi uterini?

I vari tipi di fibroma non godono di univocità di presenza e possono infatti esistere nell’utero allo stesso tempo. I fibromi sottosierosi e intracavitari possono anche essere peduncolati (ovvero attaccati all’utero solo attraverso un peduncolo, che permette una certa mobilità alla neoformazione).

 

Quali sono le cause dei fibromi uterini?

Lo sviluppo dei fibromi non è stato ancora indagatoo appropriatamente e i ricercatori non hanno ancora identificato le chiare origini alla base di questi. In molti pensano comunque che la predisposizione genetica e la conseguente suscettibilità alla stimolazione ormonale possano essere una valida causa.

 

Quali sono i sintomi dei fibromi uterini?

La sintomatologia che accompagna i fibromi uterini dipende dalle dimensioni ma, soprattutto, dalla sede dei miomi. Accade frequentemente che i fibromi di grosse dimensioni non presentino sintomi. Altre volte, invece, un fibroma di piccole dimensioni, ma collocato, per esempio, all’interno della cavità endometriale, può portare a sintomi importanti. I sintomi riportati dalle pazienti con maggior frequenza sono:

Mestruazioni abbondanti e/o ravvicinate (con conseguente anemizzazione).

Dismenorrea (ossia mestruazioni dolorose).

Dolore pelvico.

 

Difficoltà a iniziare o a portare a termine una gravidanza. A questo proposito bisogna ricordare però che i fibromi sono raramente causa di infertilità e che, quasi sempre, non ostacolano il normale svolgimento della gravidanza stessa, anche se il loro volume subisce regolari incrementi proprio nelle prime fasi di gestazione. Nella maggioranza dei casi, il mioma convive tranquillamente con la gravidanza. Esistono comunque casistiche registrate in cui il mioma è veramente responsabile di contrazioni uterine e riduzione della crescita fetale.

Senso di pesantezza, gonfiore addominale, bisogno frequente di urinare, disturbi intestinali (questi ultimi sintomi sono meno frequenti).

 

Come prevenire i fibromi uterini?

Dal momento che le cause all’origine dello sviluppo dei fibromi uterini non sono ancora conosciute e che un ruolo importante si ritiene venga giocato dalla predisposizione genetica, non sono ancora noti comportamenti virtuosi i quali vengono coinvolti nelle azioni di prevenione contro la formazione e lo sterile presentarsi delle formazioni tumorali benigne.

 

Diagnosi

La diagnosi di fibroma uterino viene effettuata attraverso la visita specialistica ginecologica abbinata all’ecografia trans vaginale e (se necessario) trans addominale.

 

Trattamenti

Spesso i fibromi sono asintomatici: in questi casi il trattamento si basa sul monitoraggio periodico – mediante visita ginecologica ed ecografia – per controllarne le eventuali modificazioni di volume e di posizione. Quando, invece, i fibromi sono sintomatici, le possibilità di trattamento sono:

 

La terapia farmacologica:

pillola contraccettiva estro/progestinica, progesterone naturale o farmaci progestinici. Questi farmaci non sono in grado di eliminare i fibromi, ma possono contrastare il loro accrescimento e, soprattutto, ridurre la quantità del flusso mestruale ed il dolore mestruale.

Farmaci “analoghi del gn-rh”: ossia un’iniezione da fare una volta al mese che blocca la secrezione di ormoni femminili e arrivare a dare vita ad una vera e propria situazione di menopausa non definitiva e temporanea che annulla dunque i sintomi metrorragici e può portare a una certa diminuzione delle dimensioni del fibroma.

Dal momento che i farmaci utilizzati risultano efficaci sui disturbi mestruali, ma spesso non sono in grado di bloccare la crescita dei fibromi e la maggior parte delle volte hanno un’efficacia temporanea (ovvero i sintomi ricompaiono una volta terminata la cura), il trattamento farmacologico viene utilizzato solo in casi specifici (ad esempio, per curare l’anemia provocata dai fibromi o come terapia preparatoria all’’intervento chirurgico).

 

La terapia chirurgica: è volta all’asportazione dei fibromi. In base alla tipologia, alla grandezza e al numero dei fibromi da asportare possono essere impiegate diverse tecniche chirurgiche:

 

Laparoscopia: gli strumenti chirurgici e ottici per eseguire l’intervento vengono inseriti nella cavità addominale attraverso piccole incisioni, una sotto l’ombelico, le altre nella parte bassa dell’addome.

 

Laparotomia: l’intervento viene praticato attraverso un’ampia incisione della parete addominale (ossia “ a cielo aperto”).

 

Isteroscopia: l’intervento viene eseguito introducendo gli strumenti chirurgici in cavità uterina, attraverso la vagina. Questa tecnica permette l’asportazione dei fibromi a sviluppo endocavitario.

 

La chirurgia laparoscopica o laparotomica può essere utilizzata, oltre che in modo conservativo (miomectomia), anche in modo demolitivo, asportando cioè consensualmente alla patologia, tutto il viscere uterino (isterectomia). La scelta della via a cielo chiuso (laparoscopia) o aperto (laparotomia) dipende essenzialmente dalle dimensioni dei miomi.

 

Embolizzazione: è una tecnica radiologica, attraverso la quale si identifica l’arteria che “nutre” il fibroma e la si va a occludere, privando così il fibroma dell’apporto di sangue da cui trae nutrimento per crescere. La manovra comporta quindi una progressiva riduzione del volume dei fibromi stessi senza dover far ricorso all’intervento chirurgico. È una procedura che però non è percorribile per tutti i miomi e, spesso, durante la fase di riassorbimento del fibroma, crea dolore e perdite ematiche.

Fibrosi cistica

Fibrosi cistica

 

La fibrosi cistica è una patologia di origine genetica che colpisce le ghiandole esocrine, come quelle che producono muco e sudore, e agisce in modo problematico sullle zone di polmoni, il pancreas, il fegato, l’intestino, i seni paranasali e l’apparato riproduttivo.

 

Che cos’è la fibrosi cistica?

I pazienti affetti da fibrosi cistica soffrono di problematiche che portano alla formazione di muco denso e appiccicoso il quale non umidifica le aree superficiali con cui viene in contatto, ma si adagia su esse bloccando di fatto le vie respiratorie e poi tutte le altre conduttore di collegamento e zone del corpo umano. Qualsiasi dotto, inclusi quelli che permettono ai succhi pancreatici di arrivare nell’intestino tenue per partecipare alla digestione, viene ostruito. Ovviu dunque i caratteristici problemi di assorbimento e aumento del rischio di infezioni batteriche che portano a malnutrizione, gravi danni ai polmoni, problemi intestinali e dolori addominali.

 

Inoltre la fibrosi cistica porta a perdere molti sali attraverso il sudore, causando scompensi elettrolitici, disidratazione, aumento della frequenza cardiaca, affaticamento e debolezza, riduzione della pressione sanguigna e colpi di calore. La malattia, infine, può aumentare il rischio di osteoporosi e di osteopenia ed essere associata a problemi di fertilità sia maschili che femminili.

 

Quali sono le cause della fibrosi cistica?

Le cause della fibrosi cistica sono mutazioni nel gene CFTR, che codifica una proteina che controlla il passaggio di acqua e di alcuni sali all’interno e all’esterno delle cellule. La proteina mutata non funziona in modo appropriato e porta alla produzione di muco denso e sudore molto ricco di sali. Le possibili mutazioni a carico di CFTR sono più di mille e possono causare forme di fibrosi cistica di gravità differente. Inoltre anche altri geni possono contribuire alla gravità della malattia.

 

Quali sono i sintomi della fibrosi cistica?

I sintomi della fibrosi cistica cambiano da paziente a paziente e con il passare del tempo.

Nei bambini un primo segnale può essere il sapore salato della pelle o la stitichezza a partire dalla nascita.

 

La maggior parte degli altri sintomi compaiono più avanti nel tempo e possono essere:

a livello dell’apparato respiratorio: l’accumulo di muco denso nelle vie respiratorie e le infezioni ricorrenti e resistenti agli antibiotici, le continue sinusiti, bronchiti e polmoniti frequenti e, in alcuni casi, polipi nasali,ronchiectasie e pneumotorace nell’apparato digerente: diarrea o feci dall’aspetto oleoso e nauseabonde, blocchi intestinali, flatulenza eccessiva e stitichezza grave associati a dolori addominali, carenze nutrizionali che ostacolano la crescita e l’aumento di peso, pancreatite, prolassi rettali, malattie epatiche, diabete e calcoli alla cistifellea nell’apparato genitale degli uomini: l’ssenza del dotto deferente, in quello femminile: blocco della cervice da parte del muco altri possibili sintomi includono l’alterazione dei livelli di minerali nell’organismo, estremità delle dita dilatate (clubbing) e riduzione della densità ossea

 

Come prevenire la fibrosi cistica?

Il rischio di dare vita ad un bambino affetto da fibrosi cistica può essere oggetto di valutazioni specifiche portate avanti grazie alle appropriate analisi del DNA di entrambi i genitori. Il fatto che la malattia offre poche possibilità di analisi in quanto si presenta esclusivamente nei casi in cui tutte e due le copie di CFTR di un soggetto hanno subito mutamenti, se entrambi i genitori sono portatori della fibrosi cistica (ossia hanno entrambi una sola copia di CFTR mutata) per ogni loro figlio la probabilità di essere affetto dalla malattia è del 25%, quella di essere portatore è del 50% e quella di avere entrambe le copie sane di CFTR del 25%.

Analisi genetiche condotte su materiale prelevato durante la gravidanza tramite amniocentesi o villocentesi permettono di stabilire se il bambino sarà sano o affetto dalla malattia e di prendere le decisioni ritenute più opportune.

Fistola

Fistola

 

Con il termine medico fistola su vuole evidenziare il profilo patologico di ogni tipologia di comunicazione che intercorre tra due o più cavità dell’organismo tra di loro o con le realtà proprie dell’esterno. Le fistole possono formarsi quasi in ogni organo del corpo attraverso meccanismi differenti.

 

Che cos’è una fistola?

Le fistole hanno la definizione di interne nel momento in cui esse fungono da mezzi di comunicazione tra due organi o cavità interne all’organismo, o esterne quando mettono in comunicazione una o più cavità con l’esterno.

E’ anche interessante notare che le fistole si classificano in semplici, quando si ha un unico canale di comunicazione, e multiple o ramificate quando esistono più canali differenti fra questi dati organi o cavità.

Si è in presenza di fistole incomplete nei momenti specifici che danno luogo a situazioni in cui le azioni di fissurazione non possono ancora generare dei canali comunicativi idonei ai loro scopi specifici.

 

Quali sono le cause della fistola?

Le fistole, generalmente, si formano a causa di un processo infiammatorio che viene aggravato da un’infezione con relativo ascesso, che in seguito si rompe provocando la fuoriuscita del pus e, una volta riassorbito lascia uno spazio a forma di tubo che costituisce la fistola.

La fistola può provocare ulteriori infezioni in due casi differenti, nel caso l’infezione sia il continuo regolare o anche meno di una corretta alimentazione organiza alla prosecuzioe dell’infiammazione o quando si debba attuare il passaggio di un dato materiale biologico che ha origine nell’organo o nella cavità fistolizzata. In alcune circostanze, la fistola può guarire lasciando al suo posto tessuto cicatriziale, in altri casi, è possibile che si ripresenti (recidiva) formando così ulteriori fissurazioni e canali. Questa è la causa più comune di fistole multiple o ramificate.

 

Sebbene le fistole possano formarsi in qualsiasi organo o cavità del corpo umano, le sedi più comuni sono:

fistole anorettali, che uniscono l’ano con il peritoneo o con il canale rettale e si formano solitamente dopo ascessi nella zona del retto o dell’ano

fistole sacrococcigee, che mettono in comunicazione l’ano con la zona coccigea e sono usualmente conseguenza delle cisti pilonidali. Sono spesso soggette a recidiva o a formazione di fistole multiple fistole colecisto-duodenali o colecisto-coliche che si formano quando la colecisti, per via dell’infiammazione e dei calcoli, aderisce al duodeno o al colon e si perfora, provocando la formazione di un tragitto attraverso il quale possono migrare i calcoli che saranno espulsi con le feci

fistole rettovaginali, enteroenteriche (fra intestino ed intestino), rettovescicali ed enterovescicali che si formano quando l’intestino è infiammato a causa di malattie come il morbo di Crohn, o i tumori maligni

 

Quali sono i sintomi della fistola?

I sintomi relativi alle fistole variano notevolmente a seconda della sede e della dimensione della fistola in oggetto.

Le manifestazioni più comuni possono variare fra il cattivo odore e la fuoriuscita di pus. In caso di fistole esterne, più evidenti, a dolore, gonfiore e infiammazione di intensità variabile, talvolta anche molto importante.

Gravidanza ectopica

Gravidanza ectopica

 

Quando in gergo medico si parla della cosiddetta “gravidanza ectopica” anche nota come gravidanza “extrauterina” si fa riferimento ad una condizione medica per cui l’impianto dell’ovulo fecondato non avviene nelle sedi preposte ma in locazioni pertinenti alla cavità uterina. Il riconoscimento e il trattamento precoce di questa condizione è un agente protettico che può realmente preservare la possibilità di future gravidanze.

 

Che cos’è la gravidanza ectopica?

Quando l’annidamento avviene al di fuori dell’utero si parla di gravidanza extrauterina (gravidanza tubarica, gravidanza ovarica, gravidanza addominale); si definisce invece “gravidanza ectopica intrauterina” nel momento in cui l’annidamento avviene dentro l’utero ma in sede impropria, come nel caso dell’impianto nel canale cervicale (gravidanza cervicale) o a livello dell’ostio tubarico (gravidanza cornuale).

 

Quali sono le cause della gravidanza ectopica?

Le gravidanze tubariche – ossia la tipologia che gode di maggiore frequenza di gravidanza ectopica, pari a circa il 95% del totale – hanno luogo quando:

La discesa dell’ovulo fecondato verso l’utero viene ritardata o deviata (a causa di lesioni anatomiche, lesioni infiammatorie, alterazioni tubariche congenite, endometriosi o alterazioni dell’anatomia pelvica per pregressi interventi chirurgici).

 

Lo sviluppo dell’ovulo fecondato viene accelerato in modo che raggiunga il grado di maturità necessario all’impianto quando ancora si trova nella tuba.

Le cause alla base delle altre forme di gravidanza extrauterina possono per lo più essere ricondotte agli stessi fattori della gravidanza tubarica. Alcune volte la causa è sconosciuta.

 

Quali sono i sintomi della gravidanza ectopica?

Se la gravidanza è iniziale (4^-6^ settimana), spesso la paziente è asintomatica. Il sospetto della presenza di una gravidanza ectopica viene quindi dato dalla presenza di un test di gravidanza positivo senza la visualizzazione della camera gestazionale all’interno della cavità uterina. SI hanno poi casi evidenti di carenza ematica anche nei suddetti casi registrati di gravidanza ectopica. Nei casi di gravidanza più avanzata, che comporta la progressiva erosione della tuba fino alla rottura, al sanguinamento vaginale, si accompagna importante dolore pelvico e/o addominale. Nei casi più gravi, quando cioè la tuba si rompe, la consistente perdita ematica in addome (emoperitoneo) può comportare vertigini e svenimento fino a un vero e proprio stato di shock.

 

Come prevenire la gravidanza ectopica?

Non si può impedire l’instaurarsi di una gravidanza extrauterina, ma è possibile ridurre alcuni fattori di rischio. Le azioni che possono aiutare ad evitare l’insorgere di gravidanze extrauterine includo la limitazione del numero di partner sessuali e utilizzare il preservativo durante i rapporti sessuali, al fine di prevenire le infezioni sessualmente trasmissibili e ridurre il rischio di sviluppare condizioni come la malattia infiammatoria pelvica.

 

Diagnosi

La diagnosi di sospetta gravidanza ectopica viene essenzialmente effettuata mediante:

L’analisi del valore e delle modificazioni ematiche dell’ormone HCG (l’ormone della gravidanza).

L’ecografia trans vaginale e trans addominale, che permettono di escludere la presenza di camera gestazionale in cavità uterina e di visualizzare la gravidanza in sede ectopica. L’ecografia permette inoltre il riconoscimento di versamenti ematici in sede pelvica e/o addominale.

 

Trattamenti

La gravidanza ectopica può essere trattata:

  • Nei casi precoci, senza alcuna terapia (risoluzione spontanea) o attraverso una terapia medica a base di metotrexate (un chemioterapico che impedisce la crescita cellulare della gravidanza).
  • Nei casi più avanzati o sintomatici, oppure quando la terapia farmacologica ha fallito, tramite la chirurgia laparoscopica. A seconda dei casi, si procede alla rimozione della tuba interessata (salpingectomia) o alla rimozione della sola gravidanza ectopica.

 

Herpes genitale

Herpes genitale

 

La causa dell’Herpes genitale risiede nel Virus Herpes simplex, della stessa famiglia di quello che colpisce le labbra, quando il virus agisce in modo problematico sui genitali maschili ma anche femminili, possono presentarsi sintomatologie fastidiose così come anche ulteriori complicanze nelle lesioni sulle aree di interesse delle labbra. A volte però non provoca alcun sintomo e quindi la persona non sa di essere contagiosa.

La trasmissione avviene generalmente per via sessuale e tende ad agire nell’uomo sullo scroto, la punta del pen e nella donna sulla vulva, la vagina e il collo dell’utero; in entrambi l’uretra e la zona anale e perianale. Si presenta con piccole vescicole raggruppate che tendono a regredire da sole nel giro di una o due settimane. In alcuni casi si manifesta con dolore, bruciore e prurito, in altre con febbre, emicrania, dolori muscolari, difficoltà a urinare.

 

Che cos’è l’Herpes Genitale?

L’Herpes genitale è un’infezione virale di alta frequenza di episodi e avviene durante i rapporti sessuali. Si manifesta con biancastre vescicole raggruppate in un’area infiammata che provocano prurito, dolore e disagio.

 

Quali sono le cause dell’Herpes genitale?

L’Herpes genitale è un virus a trasmissione sessuale. Si trasmette, quindi, durante un rapporto attraverso il contatto della pelle se il partner è malato. Spesso il virus non provoca sintomi e quindi la persona può essere inconsapevole di ospitarlo. Sembra che il virus si trasmetta più facilmente dall’uomo alla donna. Le cause dell’infezione si possono addebitare anche alla debolezza del sistema immunitario, in caso di stress, malattia, durante le mestruazioni.

 

Quali sono i sintomi dell’Herpes genitale?

I primi sintomi dell’Herpes genitale sono dolore e prurito.

A pochi giorni dall’infezione possono formarsi piccole vescicole rosse o bianche. Spesso si formano delle ulcerazioni dolorose superficiali o più profonde, che possono sanguinare. In linea di massimo la guarigione avviene in poche settimane da sole. Nella fase successiva l’infezione tende a recidivare causando sintomi simili a quelli di una influenza;

  • febbre;
  • dolori muscolari;
  • mal di testa;
  • malessere generale;
  • linfonodi inguinali gonfi.

 

Come prevenire l’Herpes genitale?

La prevenzione dell’Herpes genitale è analoga a tutte le altre malattie sessualmente trasmissibili e quindi richiede astensione sessuale quando si sa di essere colpiti dal virus, o l’uso di un preservativo nuovo durante ogni atto sessuale.

Le donne che sono in gravidanza o che sospettano di essere incinta devono avvertire il proprio medico curante che valuterà la necessità di una terapia antivirale.

 

Diagnosi

La diagnosi di Herpes genitale si ottiene con la semplice visita dello specialista. Basta, infatti, l’osservazione della parte malata per giungere alla diagnosi.

Per un accertamento più completo si può eseguire l’esame citologico prelevando le cellule dalle vescicole.

Considerata la remissione spontanea del virus in poche settimane, spesso altri mezzi diagnostici sono superflui. Comunque, è possibile rilevare la presenza precedente o attuale del virus attraverso l’esame del sangue per la ricerca degli anticorpi specifici.

 

Trattamenti

Il trattamento avviene localmente o per via sistemica. Localmente si possono applicare le creme antierpetiche che però non sono utili in vagina o sul collo dell’utero. La terapia sistemica con antivirale tipo Aciclovir permette di ridurre i sintomi ma non previene le recidive.

Infertilità femminile

Infertilità femminile

 

L’infertilità femminile è la situazione patologica per cui una donna non può avere una gravidanza dopo 1-2 anni di rapporti intenzionalmente fertili, anche se in linea teorica per lei concepire ed avere un bambino. Si calcola che possa interessare il 15% circa delle donne.

Il fattore dell’età è connesso in modo imprescindibile alla riduzione di capacità riproduttiva, infatti a 30 anni la possibilità di concepire per ciclo fertile è intorno al 30-40%, mentre a 40 anni diventa del 10%.

 

Che cos’è l’infertilità femminile?

L’infertilità ostacola la possibilità per il sesso femminile di avere e portare a termine una gravidanza. Alla nascita, la donna possiede una riserva ovarica (circa 400 mila ovociti) che va progressivamente impoverendosi col passare dell’età, azzerandosi alla menopausa.

 

Dal punto di vista medico l’infertilità si accerta dopo 12 mesi di rapporti liberi e non protetti (6 mesi se la donna ha più di 35 anni o altri fattori di rischio) durante i quale non è stata raggiunta la gravidanza.

Occorre fare una distinzione tra infertilità e sterilità, la seconda identifica infatti l’impossibilità assoluta a concepire per una causa non rimovibile, anche se, nell’uso comune, i due termini vanno spesso a sovrapporsi.

 

Quali sono le cause dell’infertilità femminile?

Esistono numerose cause di infertilità femminile: alterazioni dell’apparato riproduttivo, malformazioni congenite, infezioni, disfunzioni ormonali. Solo in alcuni casi, invece, si parla di infertilità idiopatica, quando gli esami diagnostici non sono riusciti ad individuare alcuna causa specifica.

 

In sintesi, le cause di infertilità femminile, sono le seguenti:

Tubariche/pelviche: riduzione di funzione o chiusura delle tube di Falloppio, aderenze pelviche (in seguito a patologie infiammatorie o a pregressi interventi chirurgici)

 

Endometriosi: malattia frequente nell’età fertile, in cui isole di cellule endometriali (normalmente presenti solo all’interno della cavità uterina) migrano e colonizzano altri organi (più comunemente l’ovaio ed il peritoneo pelvico). Questa patologia può essere asintomatica, ma talora diventa invalidante. La sua presenza o le recidive di questa malattia, possono ridurre in modo severo le probabilità di concepimento

 

Ovulatorie/ormonali: irregolarità o mancanza di ovulazione, iperprolattinemia, sindrome dell’ovaio micropolicistico, riserva ovarica ridotta o assente

Cervicali: quando il muco presente nella cervice uterina è ostile al passaggio degli spermatozoi per una carenza di estrogeni, per fattori infettivi o per pregressi interventi chirurgici che hanno danneggiato le ghiandole cervicali. L’infertilità cervicale può essere dovuta, in rari casi, anche alla produzione, da parte della donna, di anticorpi diretti contro gli spermatozoi stessi

Uterine: presenza di malformazioni congenite dell’utero, fibromi o aderenze all’interno della cavità uterina oppure presenza di fattori infiammatori a carico dell’endometrio (la mucosa di rivestimento della cavità uterina)

Sconosciute: quando gli accertamenti non sono stati di grado di evidenziare una o più cause specifiche. Questa situazione va sotto il nome di infertilità idiopatica. Questa diagnosi dovrebbe essere correttamente definita come ‘insufficientemente indagata’, Vi si giunge per il lungo periodo di ricerca o per l’età dei partner, che non consentono un completamento delle indagini.

 

Diagnosi

Di seguito elenchiamo gli accertamenti che possono essere effettuati sulla partner femminile, nella diagnosi dell’ infertilità di coppia:

Dosaggi ormonali: FSH, LH, estradiolo nella prima metà del ciclo (2^-3^ giorno di mestruazione); progesterone e Prolattina nella seconda metà del ciclo; Ormone Antimulleriano (AMH); TSH. Questi esami hanno lo scopo principale di valutare la riserva ovarica, vale a dire il patrimonio di ovociti della donna e quindi il suo potenziale di fertilità.

 

Tampone vaginale: esame che valuta la presenza o meno di infezioni del tratto distale dell’apparato riproduttivo (vagina e collo dell’utero).

 

Ecografia pelvica transvaginale: permette di valutare l’anatomia dell’apparato riproduttivo femminile (utero ed annessi) e la presenza di eventuali alterazioni a suo carico (malformazioni uterine, fibromi, neoformazioni annessiali ecc). Con l’ecografia transvaginale è possibile valutare il numero e la crescita dei follicoli ovarici sia in condizioni basali che sotto stimolo.

 

Isterosonografia: è un esame attraverso il quale, dopo aver iniettato una soluzione salina sterile o altra sostanza apposita nella cavità uterina, è possibile valutare la normalità o meno della cavità uterina stessa, nonché la pervietà delle tube.

 

Ecografia tridimensionale (eco 3D) dell’utero: tecnologia che, attraverso una elaborazione rapida del volume del viscere, permette il riconoscimento di eventuali malformazioni congenite dell’utero. L’ecografia 3D, può essere utilizzata anche per lo studio degli annessi o in abbinamento alla sonoisterografia.

 

Isterosalpingografia: esame radiologico utilizzato per valutare la pervietà tubarica. Permette anche il riconoscimento di alcune patologie congenite o acquisite dell’utero.

 

Isteroscopia: tecnica endoscopica che, attraverso l’inserzione di uno strumento ottico collegato ad una telecamera in cavità uterina, permette una visione diretta della cavità endometriale ed il riconoscimento quindi di eventuali patologie a suo carico.

 

Laparoscopia: tecnica chirurgica che permette di vedere dentro l’addome attraverso uno strumento a fibre ottiche (il laparoscopio) collegato ad una telecamera. Dato il piccolo diametro del laparoscopio (da 2 a 10 mm), la procedura può essere eseguita “a cielo chiuso”, ossia senza praticare l’apertura dell’addome, ma ricorrendo ad incisioni di pochi millimetri. Attraverso la laparoscopia, è possibile visualizzare l’anatomia di utero ed annessi, valutare in modo molto preciso la funzionalità tubarica ed intervenire operativamente per risolvere alcune patologie (rimozioni di cisti, adesiolisi, asportazione di fibromi uterini ecc )

 

Trattamenti

Il trattamento dell’infertilità femminile dipende dalle cause dell’infertilità stessa. Per questo motivo, è necessario che la fase diagnostica sia eseguita nel modo più preciso e completo possibile.

Le tecniche di Procreazione medicalmente assistita (PMA) consentono di aumentare le probabilità di concepimento laddove esiste un ostacolo al concepimento stesso.

 

Esistono diversi livelli di Pma:

Il 1° livello comprende tutte le metodiche che favoriscono il concepimento naturale, ossia la cosiddetta fecondazione “in vivo”. Ne fanno parte l’induzione dell’ovulazione per rapporti mirati e l’inseminazione intrauterina.

Il 2° e 3° livello comprendono tutte le tecniche di fecondazione in cui l’incontro tra ovocita e spermatozoo, prelevati alla coppia, avviene in laboratorio (ossia “in vitro”). Le sopr menzionate indagini e metodi esplorativi vanno ad agire tramite l’azione induttiva di una pluristimolazione ovarica, procedura che consente lo sviluppo simultaneo di più follicoli ovarici, per poter disporre di un elevato numero di ovociti maturi (le cellule uovo materne), da avviare alla fecondazione, aumentando così le possibilità di successo della tecnica.

Le metodiche di fecondazione in vitro sono:

FIVET (fecondazione in vitro embryo transfer – IVF – In vitro Fertilization): con questa metodica ovociti e spermatozoi vengono posti insieme in una piastra con terreno di coltura adatto e si lascia che gli spermatozoi penetrino l’ovocita in modo naturale.

ICSI (iniezione intracitoplasmatica dello spermatozoo): è la microiniezione di un singolo spermatozoo direttamente all’interno della cellula uovo. È riservata ai casi in cui si teme che, con la semplice inseminazione dell’ovocita, ci possano essere problemi nell’ottenere la fecondazione. È considerata metodica di PMA di III livello, quando sia necessario l’utilizzo di spermatozoi prelevati chirurgicamente dal testicolo.

 

Prevenzione

La prevenzione della fertilità nella donna inizia sin dalla sua infanzia e prosegue nell’adolescenza e nella giovinezza, per esempio non trascurando banali infezioni che possono avere conseguenze negative a lungo termine.

Per conservare la fertilità bisogna seguire uno stile di vita sano, evitando alcuni fattori di rischio, come il fumo, l’abuso di alcool, l’obesità o l’eccessiva magrezza, la sedentarietà, ma anche l’eccessiva attività fisica.

E’ noto poi che l’inquinamento e l’esposizione a fattori ambientali tossici possono compromettere la fertilità nella specie umana. Negli ultimi anni si è registrato un incremento delle patologie acute e croniche della sfera riproduttiva legate alle malattie infettive sessualmente trasmesse, che possono comportare un danno permanente agli organi riproduttivi, con conseguente infertilità di coppia.

E’ molto importante, quindi, svolgere un’ opera di istruzione e divulgare regole comportamentali in questo senso, nei riguardi della popolazione giovanile che scopre la sfera sessuale.

Dato che, come abbiamo detto, la possibilità riproduttiva della donna è legata in modo diretto alla sua età, è importante inoltre sottolineare quanto possa essere penalizzante rimandare il momento della maternità.

Parlando di prevenzione, è importante ricordare come oggi la scienza, grazie alle tecniche di crioconservazione, permetta alla donna la possibilità di conservare il proprio patrimonio riproduttivo (ovociti – tessuto ovarico) prima di iniziare terapie (a causa per esempio di un tumore) che potrebbero diminuire o annullare le proprie capacità riproduttive.

La crioconservazione degli ovociti, viene oggi proposta anche a donne giovani e sane che desiderano rimandare il momento della ricerca di una gravidanza in una età in cui il concepimento potrebbe risultare difficile.

 

Infezione da HPV (Papilloma virus)

Infezione da HPV (Papilloma virus)

 

L’HPV (Human Papilloma Virus) include tra le sue specifiche patologie osservabili più di cento varietà diverse di virus. La maggior parte degli HPV causa lesioni benigne, come le verruche che colpiscono la cute (di mani, piedi o viso) e i condilomi o papillomi che interessano le mucose genitali e orali. La maggior parte delle infezioni genitali da HPV regredisce spontaneamente. Una piccola quota invece, se non trattata, può evolvere lentamente verso una forma tumorale. Il tumore del collo dell’utero è infatti quasi sempre correlato alla presenza dell’HPV.

 

Che cos’è l’infezione da HPV (Papilloma virus)?

L’infezione da Papilloma virus umano agisce differentemente in base alla tipologia della patologia stessa e alla famiglia del ceppo virale con cui si entra in contatto. Generalmente, il virus si replica sfruttando le cellule della cute e delle mucose e promuovendone una crescita eccessiva (iperplasia) che provoca le tipiche formazioni: condilomi e papillomi della cute e delle mucose. Spesso queste escrescenze vengono ricoperte da uno strato di cheratina (ipercheratosi) tipica di alcune forme dell’infezione.

I tipi più pericolosi di HPV sono, tuttavia, quelli che provocano lesioni a evolutività maligna nelle vie respiratorie superiori – laringe, faringe, lingua, tonsille, palato, naso – o ai genitali maschili e femminili – glande, pene, scroto per l’uomo, perineo, vagina, utero, cervice uterina per la donna.

 

Quali sono i sintomi dell’infezione da HPV (Papilloma virus)?

I sintomi del Papilloma virus umano sono differenti tra loro a seconde della varietà di infezione. Generalmente, i segni più comuni dell’infezione sono le verruche (verruche comuni, verruche plantari, verruche genitali).

Le verruche genitali (definite condilomi) possono essere localizzate sui genitali esterni, all’interno della vagina, intorno o dentro l’ano e sul perineo (la regione cutanea posta tra la vulva e l’ano). Queste lesioni si manifestano come piccole escrescenze, a volte disposte a grappolo, dalla forma che ricorda quella di un cavolfiore. Esiste poi una nutrita storia medica di casistiche registrate in cui le lesioni sono piatte e tendono a sovrapporsi.

La maggior parte delle lesioni causate da HPV sono asintomatiche, ma in alcuni casi, le verruche possono provocare fastidio, prurito o disagio. I ceppi di HPV che provocano il cancro nelle zone genitali, non si manifestano invece attraverso i condilomi, ma con modificazioni asintomatiche a carico delle mucose genitali (tipicamente del collo uterino).

 

Quali sono le cause dell’infezione da HPV (Papilloma virus)?

L’infezione genitale da Papilloma virus umano si trasmette essenzialmente attraverso i rapporti sessuali: è infatti una delle più frequenti malattie sessualmente trasmesse. È ammesso che la trasmissione possa avvenire anche con un contatto fisico, se ci sono cellule virali attive e se sono presenti lacerazioni, tagli o abrasioni nella pelle e/o mucose. Generalmente, le infezioni più pericolose delle vie respiratorie o del cavo orale si trasmettono attraverso il sesso orale, attraverso il contatto, quindi, tra la mucosa e i genitali.

Le persone che hanno un sistema immunitario particolarmente vulnerabile sono più esposte al rischio di contagio. Con frequenza decisamente inferiore, l’infezione può essere provocata, in alcuni luoghi ove si crei promiscuità (come docce pubbliche, piscine, caserme), dal contatto con superfici in precedenza utilizzate da portatori dell’infezione.

 

Diagnosi

La diagnosi clinica di infezione da HPV viene eseguita dal medico che rileva la presenza delle tipiche lesioni.

La diagnosi delle alterazioni citologiche e/o istologiche (ossia delle cellule o dei tessuti) provocate dai ceppi di HPV potenzialmente oncogeni, viene invece ottenuta attraverso l’esecuzione del Pap Test o di test appositi per la rilevazione del DNA virale. Se necessario, si effettuano biopsie mirate a carico delle mucose genitali, sotto il controllo di un particolare strumento (il colposcopio) che permette la visualizzazione ingrandita dei tessuti esaminati.

 

Trattamenti

È possibile che le lesioni causate da HPV guariscano spontaneamente senza alcun trattamento. È bene sapere però che, anche quando le verruche scompaiono, il virus può essere ancora presente nell’organismo umano.

Le verruche cutanee possono essere trattate con soluzioni topiche a base di acido salicilico o acido tricloroacetico o con creme ad azione antivirale, oppure essere rimosse con trattamenti chirurgici locali (diatermocoagulazione, laser terapia, crioterapia).

I condilomi genitali vengono generalmente vaporizzati attraverso la diatermocoagulazione o i trattamenti laser.

Le lesioni precancerose della cervice uterina, vengono asportate con asportazioni parziali del collo dell’utero, permettendo alla donna di mantenere inalterate le capacità riproduttive.

 

Come prevenire l’infezione da HPV (Papilloma virus)?

Per evitare l’infezione da HPV è importante ricordare alcune semplici regole. Se si frequentano spazi comuni, come spogliatoi o piscine, mantenere i piedi puliti e asciutti e indossare sempre scarpe o ciabattine.

Per evitare la diffusione di verruche dalle mani alla bocca è necessario non mangiarsi le unghie.

La trasmissione dei condilomi genitali si può ridurre, diminuendo i rapporti a rischio, promiscui od occasionali e utilizzando sempre il preservativo (che permette di neutralizzare, se non tutte, le più frequenti modalità di contagio). È importante inoltre curare l’igiene personale.

Le donne sessualmente attive devono sottoporsi periodicamente alla visita ginecologica e al Pap Test, meglio se abbinato alla ricerca del DNA virale.

Da alcuni anni esiste in commercio un vaccino che protegge la cervice uterina dai ceppi più pericolosi di HPV. Studi scientifici ne hanno promosso la somministrazione alla popolazione adolescente di entrambi i sessi, per ridurre il rischio di contagio. Recenti studi sembrerebbero validare l’utilizzo del vaccino anche alla popolazione adulta o già infettata dal virus stesso.

 

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